domenica 1 dicembre 2019
A colloquio con l’arcivescovo di Atene, Rossolatos. «In trent’anni i credenti sono quadruplicati. Nelle Messe si parla albanese, polacco o filippino. E adesso i “nuovi” fedeli vengono dall’Africa»
Un povero davanti a una chiesa greca

Un povero davanti a una chiesa greca

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Prima la Messa ad Aigio con una comunità di albanesi. Poi due celebrazioni a Patrasso, terza città della Grecia: una in inglese e l’altra nella lingua nazionale. Quindi la tappa a Kalamata dov’è presente un drappello di 150 cattolici che provengono da 21 Paesi. Per capire la Chiesa cattolica greca basta trascorrere ventiquattro ore con l’arcivescovo di Atene, Sevastianos Rossolatos. Fra sabato e domenica macina 750 chilometri pur di essere vicino ai suoi “figli”. E, quando rientra nella capitale, trova la Cattedrale piena di filippini, pronti per l’inizio dell’Eucaristia.

«Siamo davvero una Chiesa universale», scherza l’arcivescovo di 75 anni, che dal 2016 è presidente della Conferenza episcopale ellenica. La sua diocesi copre metà della Grecia continentale. Ed è un pullulare di lingue, culture, etnie. I “grecigreci” sono ormai minoritari fra i cattolici del Paese che in gran parte hanno radici oltre confine: albanesi, polacchi, filippini e, negli ultimi anni, africani sia anglofoni, sia francofoni. «La nostra è una Chiesa per lo più di immigrati che la rendono viva e vitale», chiarisce Rossolatos. Una pausa. E subito aggiunge: «Siamo anche una Chiesa povera fra i poveri. I migranti hanno pochissimo a disposizione e quello che guadagnano lo inviano nei loro Paesi. Come se non bastasse, i greci stanno ancora affrontando una crisi che resta pressante».

Il presule parteciperà all’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” promosso dalla Cei che dal 19 al 23 febbraio 2020 porterà a Bari i pastori dei Paesi affacciati sul grande mare e che sarà concluso da papa Francesco. «Nell’intera regione c’è bisogno di pensare e agire insieme di fronte a situazioni che sono variegate dal punto di vista sociale, politico e anche ecclesiale. Come, ad esempio, davanti all’emergenza migratoria», afferma Rossolatos. Le diocesi greche sono in prima linea nell’accoglienza. «Abbiamo anche affittato case o ex alberghi per dare un tetto ai rifugiati», racconta l’arcivescovo. Nella sala dove riceve gli ospiti sono appesi i dipinti con i ritratti dei suoi predecessori. Sopra un tavolino la foto di Madre Teresa di Calcutta. L’episcopio è appena dietro il Duomo, a poche decine di metri da piazza Syntagma, il cuore di Atene che ospita il Parlamento e che continua a essere teatro delle cicliche proteste anti-austerità.


L’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” promosso dalla Cei è una sorta di Sinodo del Mediterraneo che porterà a Bari dal 19 al 23 febbraio oltre cinquanta vescovi delle Chiese affacciate sul grande mare in rappresentanza di tre continenti (Europa, Asia e Africa). Sarà concluso da papa Francesco. Sui passi del "profeta di pace" Giorgio La Pira, i vescovi si confronteranno per indicare percorsi concreti di riconciliazione e fraternità fra i popoli in un'area segnata da guerre, persecuzioni, emigrazioni, sperequazioni


Eccellenza, negli ultimi trent’anni il numero dei cattolici in Grecia è quadruplicato: 200mila in tutto, su 11 milioni di abitanti. Una crescita dovuta agli immigrati.

Vero. I primi flussi risalgono al 1985. Poi con il crollo dei regimi comunisti si sono avute ulteriori ondate: sono state alcune centinaia di migliaia i cattolici arrivati. Soltanto i polacchi avevano raggiunto quota 100mila. Poi gli albanesi, i romeni, gli ucraini. Più di recente, con le tensioni in Medio Oriente, è stata la volta di siriani e libanesi. Ma non mancano gli asiatici: filippini, indiani, srilankesi. Ultimamente i “nuovi” cattolici sono gli africani: giungono soprattutto dall’Africa subsahariana, attraversano il Mediterraneo o gli Stati del Medio Oriente, e approdano qui. Sono i fedeli con le maggiori difficoltà: perché non sono in regola e non possono contare su un lavoro.

Una comunità ecclesiale multiculturale. Quali le sfide?

Una è quella del clero. I sacerdoti locali sono di avanzata età. E oggi la metà dei preti è straniera. Non è semplice im- postare una pastorale missionaria che subentri a quella di conservazione. Altra questione è l’evangelizzazione. Nelle mie omelie insisto sul fatto che non è sufficiente avere fede per salvare l’anima: per salvarsi occorre salvare. Ossia, contagiare con la propria testimonianza i non praticanti o i lontani, a cominciare dai giovani influenzati nel profondo dalla secolarizzazione avanzata.


La Grecia è terra ortodossa. Come vive la minoranza in comunione con Roma?

Nel secolo scorso un greco doveva essere di per sé ortodosso. Pertanto un cattolico non era considerato greco. Ecco perché nelle diverse diocesi i laici hanno dato vita a organizzazioni che hanno la denominazione “grecocattolica”. Un modo per rivendicare l’uguaglianza dei diritti che lo Stato non riconosceva anche sotto l’influenza della maggioranza ortodossa.


Adesso però la Chiesa cattolica ha un suo status.

Ci sono voluti trenta anni di sforzi. E solo nel 2014 ci è stata riconosciuta la personalità giuridica insieme con altre realtà religiose.


Il rapporto con l’ortodossia è ancora segnato da tensioni?

In Grecia si fa fatica a parlare di ecumenismo. Soltanto in quei pochi luoghi dove cattolici e ortodossi vivono fianco a fianco, le relazioni sono serene. Invece la mentalità che prevale è quella di disprezzo o di paura verso i cattolici. Così il cammino ecumenico viene dipinto come il mostro dell’Apocalisse. E si ripete che i sacramenti ricevuti nella Chiesa cattolica, in quanto scismatica, non sono validi. Da notare anche che i vescovi ortodossi di Grecia hanno chiesto durante il Sinodo panortodosso del 2016 di non usare la parola “Chiesa” nei confronti degli altri cristiani.


Ma qualche passo avanti si registra?

Esistono legami personali positivi. Ad esempio, tre vescovi ortodossi hanno concesso ai cattolici locali i loro luoghi di culto per la Messa domenicale anche se non è permesso celebrare sulla mensa ortodossa. E nelle isole, dove la presenza dei cattolici è maggiore, i matrimoni misti sono sempre più numerosi. Tutto ciò contribuisce a una pacifica convivenza.

La crisi economica morde sempre.

Molto. Lo Stato è indebitato e le tasse superano il 50% del reddito. Non ho timore a dire che la situazione è disastrosa. I disoccupati sono centinaia di migliaia. Si lavora al massimo 3 o 4 ore al giorno e con contratti di pochi mesi. A causa di tutto ciò, una parte di coloro che compongono il nostro popolo di Dio ha optato per l’estero: per l’Occidente, come si dice qui. Si parla di 600mila giovani che hanno lasciato il Paese, fra cui molti cattolici.


Tema rifugiati. Il Paese è il principale approdo europeo per chi fugge da conflitti e miseria: secondo l’Unhcr, gli arrivi in Grecia nel 2019 sono stati 66mila contro i 10.500 in Italia.

I migranti sono aumentanti anche nell’ultimo anno. Il governo ha creato nuove strutture d’accoglienza. Nei campi profughi delle isole si vive talvolta in condizioni disumane anche perché, siccome non si riesce a ospitare tutti gli arrivati, alcuni fuggono e creano baraccopoli di fortuna. La Caritas greca e quella di Atene sono molto attive anche grazie agli aiuti che giungono sia dalla Caritas Internationalis o da quelle nazionali come del-l’Italia, sia dal governo tedesco, sia dall’Onu.

Fra i profughi ci sono anche cattolici?

Racconto quello che accade nelle isole di Samo e Lesbo dove le nostre chiese che avevano qualche decina di fedeli si sono riempite grazie ai migranti, per lo più dell’Africa. Profughi che nei campi subiscono anche discriminazioni in quanto cattolici. Essendo la maggioranza musulmana, una croce al collo può dare molto fastidio. Ecco perché la Caritas si impegna a proteggerli offrendo loro un’abitazione in modo che lascino i campi.


La Grecia dovrebbe essere terra di passaggio.

Sulla carta sì. Ma l’Unione europea non vuole i profughi. E restano ingabbiati qui. Come Chiesa favoriamo il loro inserimento nella società: aiutandoli a imparare il greco, a trovare un lavoro, ad avere i documenti.


E come viene vista l’Ue dalla Grecia?

L’Europa parla di solidarietà, ma è una solidarietà fra virgolette. I Paesi che hanno un’economia forte accettano un numero di migranti esiguo: è quello di cui hanno bisogno. E non sono certo fraterni con noi. Ci dicono: vi finanziamo e voi tenete chi sbarca. Poi ci sono gli Stati che chiudono le frontiere o alzano i muri. Finché l’Occidente sfrutterà le nazioni “dimenticate” e le riempirà di armi, non si prospettano soluzioni. L’Europa si faccia un esame di coscienza e operi nel nome della pace che è attenzione verso tutti.



L'arcivescovo Rossolatos, presidente dei vescovi greci


Dal 2014, per volontà di papa Francesco, Sevastianos Rossolatos è arcivescovo di Atene e amministratore apostolico di Rodi. 75 anni, nato a Ermopoli sull’isola di Siro nell’Egeo meridionale, ha studiato a Roma alla Pontificia Università Gregoriana. Sacerdote dal 1968, è stato anche insegnante di religione nelle scuole pubbliche. Dal 2016 è presidente della Conferenza episcopale della Grecia.



Nel porto del Pireo o alla mensa Caritas, viaggio fra i profughi dimenticati in Grecia


Poco dopo le undici del mattino c’è già una prima parvenza di coda. In venti attendono che il piccolo portone si apra e venga servito un piatto di riso e carne. I volti sono quelli di alcuni giovani fuggiti dalla Siria, di altri giunti dal Nord Africa, di altri ancora che hanno abbandonato l’Iraq. E fra loro anche chi in Grecia è nato e cresciuto e si è ritrovato senza nulla con la crisi economica che ancora devasta il Paese. Alle tre, quando il portone si chiuderà, saranno oltre cinquecento i pasti distribuiti dalla mensa Caritas nel cuore di Atene. Nata grazie al «programma per i rifugiati», come si legge sopra l’ingresso del presidio nel quartiere di Omonia che resta l’agglomerato degli emarginati. Quasi a ogni angolo un clochard allunga la mano per chiedere qualche moneta. C’è l’uomo con le piaghe sulle gambe, l’anziana donna con il velo in testa, ma anche la ragazzetta di vent’anni o un’intera famiglia (con tanto di figli) della Romania.

La mensa è al 52 di via Kapodostriou, persa fra anonimi casermoni, negozi ormai chiusi con le saracinesche sprangate da catene e lucchetti, cassonetti colmi d’immondizia. E questo è uno degli “strumenti” con cui l’arcidiocesi di Atene accoglie i profughi che continuano ad approdare sulle isole e lungo le coste della Grecia. «Eppure il nostro servizio rischia di concludersi a fine anno», lanciano l’allarme i volontari. Perché i fondi sono sempre più scarsi e gli aiuti dall’estero non sono sufficienti a far fronte all’emergenza migranti che si unisce a quella della povertà locale. Come se non bastasse, metà delle risorse che entrano nelle casse dell’arcidiocesi finisce in tasse: altissime in un Paese con un debito pubblico fuori controllo. Con il paradosso che la Chiesa cattolica paga le imposte al ministero delle Finanze il quale, però, non paga l’affitto alla Curia per i suoi uffici ospitati in uno stabile ecclesiastico.

Sono 120 gli operatori della Caritas greca e 80 della Caritas di Atene che si dedicano ai migranti. Compresi quelli che giungono nel porto del Pireo, il porto della capitale. I due campi profughi “nascosti” che erano in una delle banchine più lontane dagli attracchi turistici delle navi da crociera sono stati chiusi dal governo e trasferiti nell’entroterra. Per non disturbare chi inizia una vacanza. Ma i rifugiati continuano a vivere nel porto, in ripari di fortuna.


È una comunità ecclesiale accanto agli ultimi quella di Atene. E povera. Difficile costruire una chiesa perché le risorse non ci sono. Accade, ad esempio, vicino all’aeroporto dove si sono trasferiti molti cattolici. In duemila vivono nei villaggi intorno allo scalo. L’arcidiocesi sogna di “regalare” loro una chiesa. «Ma ci vorranno dieci anni per realizzarla – raccontano in Curia –. Con i ridotti fondi che ci restano possiamo fare ben poco».




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