sabato 18 gennaio 2020
L'appello del vescovo Bugeja, vicario apostolico di Tripoli, che parteciperà all'Incontro sulla pace nel Mediterreneo. «Viviamo fra bombe e scontri, ma la Chiesa non sparirà da qui»
Una celebrazione nella chiesa di San Francesco, l'unica rimasta a Tripoli

Una celebrazione nella chiesa di San Francesco, l'unica rimasta a Tripoli - Vicariato apostolico di Tripoli

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«Ci sarò». Assicura che verrà a Bari il vicario apostolico di Tripoli, il vescovo George Bugeja, nonostante la guerra civile. Per partecipare all’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” promosso dalla Cei che radunerà in Puglia dal 19 al 23 febbraio i pastori dei Paesi affacciati sul grande mare. E il frate minore francescano d’origine maltese, che dal 2015 è a Tripoli prima come coadiutore e poi come vescovo titolare, porterà le sofferenze e le attese della Libia. Che «ha bisogno di serenità e di una pace duratura», spiega ad Avvenire.


L’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” promosso dalla Cei è una sorta di Sinodo del Mediterraneo che porterà a Bari dal 19 al 23 febbraio oltre sessanta vescovi delle Chiese affacciate sul grande mare in rappresentanza di tre continenti (Europa, Asia e Africa). Sarà concluso da papa Francesco. Sui passi del "profeta di pace" Giorgio La Pira, i vescovi si confronteranno per indicare percorsi concreti di riconciliazione e fraternità fra i popoli in un'area segnata da guerre, persecuzioni, emigrazioni, sperequazioni


La crisi politica che si è inasprita da qualche settimana segna anche la comunità ecclesiale. «Comunque, per grazia di Dio, negli ultimi giorni si sono aperti spiragli positivi che lasciano intravedere qualche passo in avanti verso un domani senza combattimenti – afferma Bugeja –. Sto pensando all’accordo sul cessate il fuoco e alla Conferenza di Berlino che mi auguro abbia un buon esito. Come Chiesa che abita questa realtà complessa, speriamo e preghiamo perché i libici possano trovare una soluzione nel segno della fraternità. Una soluzione, però, che non sia effimera».

Il vescovo George Bugeja, vicario apostolico di Tripoli, mentre amministra il Battesimo in Libia

Il vescovo George Bugeja, vicario apostolico di Tripoli, mentre amministra il Battesimo in Libia - Vicariato apostolico di Tripoli

È ormai una comunità ecclesiale ridotta ai minimi termini quella che vive sotto le bombe e in mezzo agli scontri iniziati già prima della caduta del regime di Gheddafi. «Fra noi non ci sono libici cristiani – racconta il vescovo –. Siamo tutti stranieri, numerosi di passaggio. Nel Paese arriviamo a essere complessivamente circa 3mila credenti su sette milioni di abitanti. Tuttavia, negli ultimi mesi molti stanno lasciando la Libia avvalendosi dei programmi di rimpatrio». Ai cattolici sono concessi due soli luoghi di culto nell’intera ex colonia italiana: uno a Tripoli e l’altro a Bengasi. «San Francesco è l’ultima chiesa della capitale. Anche la Cattedrale è diventata una moschea: la grande moschea di piazza Algeria», precisa Bugeja. In città, accanto al vescovo, c’è solo il frate francescano Magdy Helmy. E poi otto suore Missionarie della carità di Madre Teresa di Calcutta, impegnate come volontarie in due istituti governativi. «È limitato il numero di sacerdoti e religiosi nei due vicariati apostolici di Tripoli e Bengasi: dal 2011 a causa del conflitto e poi dal 2014 per ragioni di sicurezza», aggiunge il presule.


Eccellenza, guardando all’Incontro di Bari, quale contributo può dare la Chiesa alla concordia fra i popoli?

Se penso alla Libia, come discepoli del Risorto vogliamo essere una presenza di riconciliazione, sollecitando la fratellanza reciproca. Qui la Chiesa è sempre stata guidata dai francescani. E sull’esempio di Francesco d’Assisi proviamo a vivere in una terra che è quasi al cento per cento musulmana, promuovendo il rispetto e l’amicizia. Di fatto diciamo che essere fratelli è possibile, come ha mostrato il Poverello incontrando il sultano Melek-El-Kamel ottocento anni fa a Damietta, sul delta del Nilo, sempre qui in Nord Africa.


Siete una Chiesa “clandestina”?

La nostra è una Chiesa che si spende per il Vangelo attraverso le umili vie del servizio e della testimonianza. Ci sentiamo accolti e liberi di essere cristiani. È vero che siamo una piccola comunità ma non nascosta. Siamo riconosciuti ufficialmente dalle autorità governative. La Santa Sede ha ristabilito le relazioni diplomatiche con la Libia nel 1997. E l’attuale nunzio apostolico, l’arcivescovo Alessandro D’Errico, è accreditato presso lo Stato libico dal 25 marzo 2018 benché risieda a Malta di cui è a sua volta nunzio.

Una Messa nella chiesa di San Francesco a Tripoli

Una Messa nella chiesa di San Francesco a Tripoli - Vicariato apostolico di Tripoli

Il volto della Chiesa in Libia è multiforme ma non “parla” arabo.

Sì, siamo davvero una Chiesa cattolica, ossia internazionale. Infatti la comunità ecclesiale è formata per lo più da filippini, indiani, pachistani. E poi da chi proviene dal Sud del Sahara, da Nigeria, Ghana, Sierra Leone. Per questo le Messe sono in inglese.


E come si vive la fede?

Quando Gheddafi salì al potere, Tripoli contava 39 chiese o cappelle. Con la confisca dei beni della Chiesa, dopo la rivoluzione del 1969, è rimasta soltanto la chiesa di San Francesco. Le nostre celebrazioni domenicali si tengono il venerdì. Perché qui la domenica è una giornata lavorativa. Nel giorno di festa ci sono due Messe al mattino. E sono ben partecipate: dai 400 ai 500 fedeli durante ogni liturgia. Per questo sostengo che la Libia non vada considerata un capitolo chiuso per la Chiesa. Attraversiamo un frangente difficile assieme a tutto il Paese, ma siamo certi che il futuro sarà migliore sia per l’intera nazione, sia per la Chiesa.

Le Missionarie della carità a Tripoli con alcuni bambini

Le Missionarie della carità a Tripoli con alcuni bambini - Vicariato apostolico di Tripoli

La comunità cattolica è messaggera di pace ma anche avamposto sociale.

Il primo impegno è quello di stimolare, per quanto possibile, tutte le persone che vengono da noi a essere cordiali e a saper perdonare. Non conta quanto si fa, ma come lo si fa. E siamo tenuti ad agire spinti dall’amore vicendevole; altrimenti ciò che compiamo non vale niente. Sul versante dell’attenzione ai poveri, abbiamo uno sportello Caritas e un Social service con la presenza di un medico e di alcuni infermieri per assistere i più bisognosi, in particolare i migranti che giungono dal Sudan, dal Sud Sudan, dall’Eritrea e da altri Paesi sub-sahariani.


Come costruire il dialogo con l’islam?

A causa della difficile situazione del Paese, non ho avuto la possibilità di continuare a tessere reti di incontro e di scambio come accadeva fino al 2014.

Alcuni miliziani libici in un'area a sud di Tripoli

Alcuni miliziani libici in un'area a sud di Tripoli - Afp

C’è il rischio che prolifichi il fondamentalismo islamico?

Penso che la stagione del terrorismo sia chiusa. Sono in Libia da cinque anni e non ho avuto mai alcuna minaccia seria. Anzi, ho e avevamo sempre ricevuto il sostegno delle autorità competenti.


Tema migranti. La Libia è il “trampolino” verso l’Europa, da raggiungere anche con imbarcazioni di fortuna e spesso affidandosi a trafficanti di esseri umani. Ma chi arriva nel Paese può finire nei centri di detenzione dove avvengono torture e soprusi.

Come comunità cristiana non incoraggiamo i migranti ad attraversare il Mediterraneo. Non si può spingere alcun uomo, donna o bambino a rischiare la vita. Quando scopriamo che qualcuno ha intenzione di partire, proviamo a dissuaderlo. Siamo accanto a chi cerca un domani migliore attraverso la Caritas Libia e lavorando insieme con l’Unhcr, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni o le Ong presenti sul territorio.

E l’Occidente?

Non credo che l’Occidente abbia dimenticato la Libia. Ma potrebbe fare di più se tutti i Paesi dell’altra sponda del Mediterraneo parlassero a una sola voce, invece di muoversi sulla base dei tornaconti dei singoli Stati.

Alcuni bambini fra gli edifici abbandonati di Tripoli

Alcuni bambini fra gli edifici abbandonati di Tripoli - Reuters

Il francescano maltese che guida il vicariato apostolico di Tripoli

È d’origine maltese il vescovo George Bugeja, vicario apostolico di Tripoli. Cinquantasette anni, è frate minore francescano. Diplomato a Londra in giornalismo, è stato officiale della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Nel 2015 papa Francesco lo ha nominato vescovo coadiutore del vicariato apostolico di Tripoli. E nello stesso anno ha ricevuto l’ordinazione episcopale. In seguito alle dimissioni di Giovanni Innocenzo Martinelli (scomparso il 30 dicembre scorso), gli è succeduto nel 2017 come vicario apostolico. Dal 2016 al 2019 è stato amministratore apostolico del vicariato di Bengasi.


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