sabato 16 gennaio 2021
I frati minori, Ordine a cui apparteneva, stanno raccogliendo testimonianze e materiale per promuovere la causa di beatificazione. Nato a Carate Brianza nel 1922, ha vissuto in Africa per 42 anni
Ucciso nel 1989 a Mogadiscio. Era mediatore tra le fazioni che si fronteggiavano. Nella foto in un'udienza con papa Giovanni Paolo II

Ucciso nel 1989 a Mogadiscio. Era mediatore tra le fazioni che si fronteggiavano. Nella foto in un'udienza con papa Giovanni Paolo II - Archivio Avvenire

COMMENTA E CONDIVIDI

La figura del vescovo Salvatore Colombo, assassinato a Mogadiscio, in Somalia, 32 anni fa, sta per uscire dall’oblio in cui è rimasta immersa per oltre trent’anni.

I frati minori, Ordine cui apparteneva Colombo, hanno deciso di promuovere la causa di beatificazione del presule, nato a Carate Brianza il 22 ottobre 1922 e morto da martire il 9 luglio 1989 in terra somala, nell’adempimento della sua missione di pace e di evangelizzazione.

Anni fa un giovane frate, padre Massimiliano Taroni, tra i primi a raccogliere il vescovo agonizzante sul sagrato della Cattedrale di Mogadiscio dopo l’agguato, aveva provato a sollecitare l’avvio del procedimento canonico, senza però riuscire ad andare oltre qualche tiepido “vedremo”. Ma nel 2017, partendo proprio dalla testimonianza di padre Taroni, alcuni articoli di Avvenire hanno ricostruito la vicenda di Colombo, provando anche a gettare un po’ di luce sulle ragioni che potrebbero aver innescato il delitto, tuttora insoluto. E qualcosa si è finalmente mosso. I frati minori hanno compreso che era arrivato il momento di rendere giustizia alla memoria di un confratello che aveva pagato con la vita i suoi 42 anni di impegno a favore del popolo somalo. Così, nel giugno scorso, padre Claudio Bratti, vice postulatore della Provincia del Nord Italia, ha ricevuto l’incarico di iniziare a raccogliere testimonianze e documenti da presentare per l’inizio della causa. In pochi mesi, pur rallentato dalle difficoltà della pandemia, padre Bratti ha messo insieme una discreta mole di materiale. «Siamo ancora nella cosiddetta fase investigativa – spiega ad Avvenire – ma direi che siamo a buon punto. Il postulatore dell’arcidiocesi di Milano, monsignor Ennio Apeciti, mi ha mosso alcune osservazioni che ritengo superabili, ma ha dato parere positivo. Possiamo andare avanti. Non è facile, perché molti testimoni sono scomparsi. Ne abbiamo trovati 9 dei 20 richiesti. Ma entro un anno o poco più dovremmo essere in grado di affrontare il processo».

Nella sua ricerca padre Bratti è entrato in possesso del memoriale di padre Venanzio Tresoldi, all’epoca superiore dei frati minori in Somalia. Nel diario il religioso si interroga sul possibile movente del delitto, individuando sostanzialmente due piste. In primis quella legata alle tensioni politiche somale, provocate dalle frizioni tra il regime di Siad Barre e gli oppositori, che poi fecero deflagrare la guerra civile. Il vescovo Colombo stava mediando tra le due fazioni, nello sforzo di mantenere la pace. Quindi era un ostacolo per chi soffiava sul fuoco di uno scontro foriero di un’instabilità che perdura ancora oggi.



​C’è però un’altra pista, che chiama in causa la mala cooperazione italiana. In quegli anni il regime di Barre era legato a doppio filo con Roma, da cui riceveva aiuti che non sempre finivano in buone mani. Come riportato anche da Avvenire, il vescovo potrebbe aver scoperto uno scenario di corruzione dietro cui si nascondeva la regia di noti politici e imprenditori. «Si disse subito che i mandanti avevano a che fare con l’Italia», riferì nel 1995 davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta Piero Ugolini, ex coordinatore della cooperazione in Somalia. Aggiungendo che «si trattò certamente di un delitto su commissione».
Colombo, uomo di fede profonda e di senso pratico tutto brianzolo, portava avanti la sua opera di evangelizzazione non solo con la Parola ma anche e soprattutto con le opere, aiutando i profughi e i contadini dei villaggi. Forte dei suoi buoni rapporti con i pastori locali, aveva immaginato di realizzare una piccola conceria per dar lavoro ai somali. Ma il suo sogno interferiva con il progetto di un mega impianto di trattamento delle pelli finanziato dai fondi italiani. E proprio per questo potrebbe essere stato ucciso. «Gli avevo detto di mantenere un basso profilo, di non esporsi troppo – spiegò ad Avvenire l’ex 007 Aldo Anghessa – ma lui mi disse che stava semplicemente testimoniando il Vangelo». Un coraggio che mantenne fino al sacrificio estremo.

Chi era il vescovo Salvatore Colombo: una vita spesa in missione

Nato a Carate Brianza il 28 ottobre 1922, Pietro Salvatore Colombo entra nell’Ordine dei frati minori francescani, facendo nel 1944 la professione solenne. Ordinato prete nel 1946 per l’arcidiocesi di Milano, parte per la Somalia dove giunge il 30 marzo 1947 e da cui non farà più ritorno. Dopo aver lavorato in diversi centri missionari, nel 1954 diventa vicario generale di Mogadiscio. Nel 1975 Paolo VI eleva il vicariato apostolico al rango di diocesi e nomina Colombo primo vescovo della nuova Chiesa locale. Viene ucciso con un colpo di pistola al cuore davanti alla Cattedrale il 9 luglio 1989.


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: