martedì 7 aprile 2020
Cultore della Parola di Dio, figlio del Vaticano II, vicino agli Scout e a Incontro matrimoniale, ha operato nella Mensa della Provvidenza insieme a confratelli della comunità falcidiata dal virus.
Padre Giorgio Butterini

Padre Giorgio Butterini - Foto Gianni Zotta

COMMENTA E CONDIVIDI

L’affetto riconoscente che circondava padre Giorgio Butterini, per gli amici padre Antonino, ha trovato una conferma anche dopo la morte a 79 anni del cappuccino trentino, avvenuta il 26 marzo a Cles a causa del coronavirus: la benedizione del suo feretro tenuta in forma ridotta pochi giorni dopo al cimitero di Rovereto è stata ripresa e poi pubblicata nel giro degli amici sui social come partecipazione a questo doloroso congedo.

«Padre Antonino è stato un cultore della Parola di Dio e grande annunciatore di Gesù e del suo Vangelo» ha detto nel breve saluto il vicario di zona di Rovereto, monsignor Sergio Nicolli, e la passione per gli studi biblici ha caratterizzato il ministero di Butterini, diplomatosi in Sacra Scrittura a Roma e a Friburgo e divenuto poi animatore per oltre 40 anni della Comunità laicale di Trento denominata San Francesco Saverio. Non aveva smesso di accompagnarla anche dopo la sua destinazione negli ultimi anni al convento di Terzolas in Val di Sole, così come non aveva interrotto il rapporto con i giovani conosciuti negli Scout o i genitori avvicinati attraverso Incontro Matrimoniale. La sua riflessione sul Vangelo e sulla Chiesa, apprezzata anche negli ambienti universitari, era ispirata al Vaticano II, la sua stella polare: «Il suo senso di libertà, di apertura e di tolleranza – ha scritto il settimanale diocesano Vita Trentina – sono stati gli elementi su cui ha basato la sua missione e la sua vita».

U1n frate che aveva saputo conciliare l’impegno culturale (era stato promotore e animatore della Biblioteca della Fondazione Bruno Kessler ai tempi della presidenza di Paolo Prodi) e civile (era stato anche rappresentante sindacale dei bibliotecari) con scelte radicali di vita, come l’esperienza di frate-operaio, la fraternità-eremo di Piazzo di Segonzano e poi la ristrutturazione della Mensa dei poveri nel convento di Trento.

In questa “Mensa della Provvidenza” ha operato fino a pochi giorni prima anche fratel Gianpietro Vignandel, 46 anni, prima vittima fra i cappuccini colpiti a Trento da coronavirus, seguito poi da padre Bernardo Maines e, nell’ospedale di Rovereto, da padre Feliciano Giovanni e fra Ilario Paoli. «Continuiamo la nostra opera per i poveri – commenta padre Massimo Lorandini, guardiano del convento di Trento che è stato colpito nel 90% dei suoi frati dall’epidemia – sapendo che questi confratelli ci proteggono dal cielo».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI