«Pandemie? Vi spiego perché siamo più pronti. Sui vaccini c'è tanta ignoranza»

A 5 anni dal lockdown, parla Carlo Signorelli, che presiede il Gruppo tecnico nazionale vaccinazioni: il Paese non ha ancora il Piano pandemico, però oggi ne hanno uno tutte le Regioni e le Asl
March 10, 2025
«Pandemie? Vi spiego perché siamo più pronti. Sui vaccini c'è tanta ignoranza»
. | Un padiglione allestito per la campagna vaccinale contro il Covid-19
È l’8 marzo 2020. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in diretta televisiva, annuncia agli italiani il primo lockdown del Paese. Gli eventi mondiali corrono ad una velocità spaventosa dal 31 dicembre dell’anno prima, quando la Commissione sanitaria municipale di Wuhan (Cina) segnala all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) un cluster di «casi di polmonite a eziologia ignota» nella città di Wuhan. Si apprende che la maggior parte dei casi presenta un legame epidemiologico con il market di frutti di mare e di animalui vivi “Huanan Seafood”, il mercato ittico all’ingrosso di Wuhan.
Da quel momento i contagi sono praticamente incontrollabili: un virus sconosciuto, il cui Rna sarà identificato il 10 gennaio, e che sarà denonimato Sars-CoV-2 (appartenente alla “famiglia dei coronavirus”), si trasmette da uomo a uomo ed è all’origine di una nuova malattia respiratoria, il Covid-19. Il primo caso “ufficiale” italiano, se si escludono i contagi di due turisti cinesi in visita a Roma a fine gennaio, si verifica il 21 febbraio in Lombardia, quando la malattia è confermata su un 38enne di Codogno (Lodi). L’11 marzo l’Oms dichiara ufficialmente lo stato di pandemia a causa dei «livelli allarmanti di diffusione e gravità» della patologia. Drammatiche le parole del direttore Tedros Adhanom Ghebreyesus: «Nelle ultime due settimane il numero di casi di Covid-19 al di fuori della Cina è aumentato di 13 volte e il numero di Paesi colpiti è triplicato, ci sono più di 118.000 casi in 114 Paesi e 4.291 persone hanno perso la vita. Altre migliaia stanno lottando per la propria vita negli ospedali».


«Siamo più pronti di 5 anni fa. Eravamo pronti anche nel 2020 ma per un evento pandemico influenzale. È arrivato invece un altro tipo di virus, con una pericolosità ed una letalità ben differenti». Carlo Signorelli, ordinario di Igiene e sanità pubblica all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, presiede dal 2022 il Nitag (National immunization technical advisory group), ovvero il Gruppo tecnico nazionale sulle vaccinazioni, che, pur essendo indipendente, è istituito dal ministero della Salute in linea con le indicazioni dell’Oms. Composto da 25 esperti di sanità pubblica (dall’epidemiologo al bioeticista) ha competenze sulle pratiche immunitarie, esprime valutazioni scientifiche sulle politiche vaccinali, orientando le scelte politiche. Tranne che in occasione dell’ultima pandemia. «Le competenze della gestione del vaccino anti-Covid – dice Signorelli – sono state assorbite da un comitato ad hoc, il Cts, che ha provveduto anche alle trattative sull’acquisto dei vaccini, cosa che spetterebbe alle Regioni. Ma una crisi emergenziale giustifica risposte emergenziali».
Professore, che succederebbe in caso di nuova pandemia?
Dicevo che siamo più pronti. Ma la definizione di “pronto” è complicata. È vero che, in linea di massima, può essere delineato un evento pandemico ma è molto difficile prevederne i “dettagli”: il comportamento del microrganismo scatenante, le modalità di trasmissione, gli impatti. Tutti aspetti che avranno una definizione più adeguata e aggiornata nel nuovo Piano pandemico.
Che però, nonostante polemiche, inchieste, dibattiti, ancora non c’è. È ora al vaglio delle Regioni ma quanta fatica per il suo varo, non le pare?
Dovrebbe chiederlo al governo. Nel 2024 ne arrivò uno in stadio molto avanzato che, a un certo punto, per motivi politici, fu fermato per un anno. Adesso che la discussione è ripresa, la decisione definitiva è solo politica. Anche se una grossa novità già c’è.
Quale?
Rispetto al 2020, oggi tutte le Regioni e tutte le aziende sanitarie d’Italia hanno un piano pandemico. È un grande passo avanti. Ecco perché siamo più pronti di prima.
Ma in caso di emergenza, come si crea un coordinamento immediato tra tutte le Regioni e le Province autonome?
Con il Piano nazionale...
Quindi mettiamoci comodi e incrociamo le dita.
Il Piano arriverà. Tecnicamente abbiamo già delle condotte differenti da adottare rispetto al 2020.
Per esempio?
Sappiamo quanti dispositivi di protezione occorrono anche per le situazioni più estreme.
I piani precedenti non lo indicavano?
Prima vi erano indicazioni approssimative.
Tipo?
C’erano prescrizioni del tipo: “Servono mascherine in numero sufficiente”, ma il numero non era indicato. Oggi abbiamo la stima esatta delle provviste di mascherine, guanti e dei dispositivi di sicurezza occorrenti. Sappiamo come poter operare in breve tempo un piano di espansione dei posti letto; sappiamo dove si può fare, per quali reparti, con quali forze. Abbiamo una consapevolezza di gran lunga maggiore.
Il professor Carlo Signorelli - Ufficio stampa Università Vita-Salute San Raffaele
Il professor Carlo Signorelli - Ufficio stampa Università Vita-Salute San Raffaele
Nel 2020 e 2021 abbiamo temuto per il mancato approvvigionamento di vaccini in tempi rapidi. L’Italia non ne produce, se non in piccola parte. In casi di emergenza saremmo sfavoriti?
No. Altri Paesi sono nella nostra condizione ma per tutti le trattative sono portate avanti dall’Ue. Non dobbiamo temere. Va detta un’altra cosa: in caso di nuova pandemia, non è così scontato che arrivi, e in tempi celeri, un vaccino. Ero giovane laureato quando esplose un’altra pericolosa pandemia: quella dell’Aids, a trasmissione sessuale e parenterale. Ricordo che il primo anno fu vissuto quasi come il 2020, tutti speravano in un immediato vaccino. Sono passati 35 anni e il vaccino non c’è.
Queste trattative ci metterebbero al riparo anche da eventuali egoismi nazionali?
Non temo egoismi nell’Ue. Semmai, con la nuova amministrazione Usa, quelli provenienti dall’altra parte dell’Atlantico. Ma per eventi di grande portata, ritrovarsi nell’Ue è solo un vantaggio. Più nel piccolo, nel caso del virus monkeypox, per esempio, che causa il vaiolo delle scimmie, c’è stata una discussione accesa in sede Ue ma poi i (pochi) vaccini disponibili sono stati equamente distribuiti.
Nel 2022 lei, appena nominato presidente del Nitag, lanciò un allarme sul calo delle coperture vaccinali in Italia. A tre anni di distanza, come siamo messi?
Tre anni dopo abbiamo notizie buone, meno buone e cattive. Per quanto riguarda le immunizzazioni dell’infanzia, abbiamo recuperato tutte le percentuali di adesioni registrate nel pre-Covid. In questo caso il semaforo è verde. In merito ad adulti, anziani e fragili, direi che il semaforo è giallo, nel senso che l’antinfluenzale si fa abbastanza - solo in Lombardia quest’anno ci sono state più 2 milioni di inoculazioni - anche se non nella misura che vorremmo noi. Vanno a rilento invece le vaccinazioni di antipneumococco, contro l’Herpes zoster e il richiamo per il Covid-19, ed è un peccato perché proteggendosi si evitano forme gravi.
C’è anche un semaforo rosso?
Sì, riguarda le vaccinazioni dell’adolescenza. Mi riferisco soprattutto a quello contro l’Hpv che protegge complessivamente da 7 tumori nelle femmine e nei maschi. Di fronte a un vaccino sicuro, gratuito, altamente protettivo, l’adesione è ferma al 50%. È abbastanza inspiegabile e insensato.
Come la lasciano le dichiarazioni dei no-vax che imputano ai vaccini ogni sorta di accidente?
È un fenomeno del nostro tempo quello di assistere a negazionisti in tutti i settori. Penso a chi rinuncia alle trasfusioni, per esempio, e non per motivi religiosi. Non puoi convincerli. Ricordo due episodi dei decenni scorsi: la cosiddetta terapia “Di Bella” contro il cancro e il “metodo Stamina” per le malattie neurologiche, entrambi con affermazioni negazioniste rispetto ai dati scientifici. I due ministri della Salute dell’epoca, Rosy Bindi e Beatrice Lorenzin, dovettero intervenire al punto da ordinare sperimentazioni che avevano poco senso. Tutto per dirimere questioni in cui si inserirono addirittura dei magistrati che autorizzarono, in alcuni casi, l’accesso alla cura Di Bella. Oggi si parla di autismo legato alla vaccinazione da morbillo. Una cosa che non sta in piedi.
Nell’ultima pandemia, il fanatismo antiscientifico ha raggiunto vette difficilmente eguagliabili. Per non parlare dell’ondata “revisionista” negli Stati Uniti…
Guardi, i vaccini non sono acqua fresca: con miliardi di dosi effettuate nel mondo, e milioni in Italia, qualche problema lo hanno creato, come tutte le vaccinazioni, a fronte però di un risultato che è di straordinaria positività. Le affermazioni che screditano i vaccini nascono dalla mancata conoscenza o dall’incapacità di capire questi concetti. Non si comprende che le manovre di sanità pubblica possono dare grandi vantaggi ma devono prendersi qualche rischio. Noi, come rappresentati del mondo della prevenzione, siamo un po’ frustrati rispetto al mondo della clinica. Perché mentre quest’ultimo lavora sul malato, e tendenzialmente il malato parte dall’idea di accettare tutto, in prevenzione sui sani che, stando bene, non accettano di buon grado screening, vaccini, terapie immunitarie, è molto più complicata. E questo è un peccato, perché restano a rischio di malattia persone che potrebbero essere protette.
Eppure, proprio l’Italia avrebbe tanto da insegnare in questo campo. Non le pare?
Ma certo: erano gli anni ’60 quando introducemmo il vaccino Sabin per la poliomielite, fummo tra i primissimi Paesi al mondo. Nel 1991 - ministro Francesco De Lorenzo -, fu reso obbligatorio il vaccino contro l’Epatite B per tutti i 12enni e i nuovi nati. A fine anni ’90, siamo stati uno dei tre Paesi sperimentatori e utilizzatori del vaccino contro la pertosse acellulare; nel 2007 è stato reso disponibile per le donne il vaccino contro l’Hpv; profilassi che, nel 2017, la ministra Beatrice Lorenzin approvò anche per i 12enni maschi; ultimamente, abbiamo introdotto gli anticorpi monoclonali per i virus respiratori sinciziali che stanno dando risultati straordinari, addirittura con la riduzione dei due terzi delle bronchioliti neonatali.
In futuro i vaccini avranno sempre più importanza, sia nella prevenzione sia a scopo terapeutico. Con quali prospettive?
Oggi una trentina di malattie è prevenibile con i vaccini, 20 anni fa erano la metà. Sui vaccini ci sono forti investimenti delle aziende farmaceutiche. Essi nascono per proteggere dalla malattia infettiva, poi ci sono malattie infettive che causano malattie croniche. E allora ecco che il vaccino per il Papilloma virus protegge da 7 tumori, quello contro l’epatite protegge dal tumore del fegato, gli ultimissimi vaccini proteggono dal virus respiratorio sinciziale. Molti altri studi sono in corso su vaccini diretti a malattie non infettive, come quelle oncologiche. Contemporaneamente, tante aziende disinvestono dagli antibiotici. Ma proprio quello delle infezioni e dell’antibioticoresistenza sarà una questione vitale per i prossimi anni. Ecco perché, come sollecita il ministero della Salute, studi e progetti sulle infezioni non vanno abbandonati. Al contrario, vanno incentivati perché la resistenza ai farmaci dei “super-microbi” sarà la nuova grande emergenza sanitaria mondiale dei prossimi anni.

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