
Il logo del Senato - Foto Cimaglia/Ipa
«La morte medicalmente assistita non è mai un diritto, neanche quando ricorrono le condizioni indicate dalla Consulta come scriminante per chi la consente. E dunque non deve essere dispensata dal Servizio sanitario nazionale». Pierantonio Zanettin (Forza Italia), co-relatore con Ignazio Zullo (FdI) della legge sul fine vita, sintetizza così lo spirito della proposta del centrodestra il cui arrivo in aula al Senato è previsto per il 17 luglio (sulla bozza della maggioranza Avvenire ha intervistato per l'opposizione Alfredo Bazoli, senatore del Pd).
Martedì torna a riunirsi il comitato ristretto, ma le posizioni fra maggioranza e opposizione appaiono molto distanti.
Per noi il nodo fondamentale è costituito dalla necessità di circoscrivere la discussione sui quattro criteri che la Corte ha indicato come presupposto: la sofferenza intollerabile per il paziente; la prognosi infausta; la dipendenza da un sostegno vitale; la piena capacità di intendere e di volere del paziente, perché nel caso in cui questa non vi sia il caso è regolato da altra normativa, attraverso le Disposizioni anticipate di trattamento. Non si può allargare la casistica del sostegno vitale alla dipendenza dall’aiuto di altre persone, la Consulta si riferisce solo alla dipendenza da macchinari. Ricorrendo tutti questi presupposti, e solo in questi casi, viene indicata una scriminante, per chi interviene, nell’applicazione dell’articolo 580 del Codice penale che sanziona il resto di istigazione o aiuto al suicidio. Una non punibilità in limitati casi, ma mai un diritto, ripeto.
L’altro punto controverso è il ricorso alle cure palliative che in base alla vostra proposta diverrebbe, secondo le opposizioni, obbligatorio. Con un problema, fra l’altro, non semplice, di reperimento dei fondi necessari.
Non è così. Noi prevediamo un incremento delle cure palliative che le renda disponibili con modalità concrete, serie e credibili su tutto il territorio nazionale. Dire che un paziente deve essere «inserito» in un percorso di cure palliative, non significa renderne obbligatorio il ricorso, ma renderlo alla portata di tutti. Per questa ragione abbiamo inserito in un articolo il monitoraggio che deve essere disposto per verificare la effettiva disponibilità sull’intero territorio. Per questa ragione viene anche istituito un fondo apposito per le cure palliative.
L’altra contestazione riguarda il Comitato etico unico, operante per tutto il territorio nazionale, che richiamerebbe, vi si accusa, un’idea di Stato etico, anche perché verrebbe nominato con atto “monocratico”, un decreto del presidente del Consiglio dei ministri.
Basta scorrere le qualifiche che abbiamo previsto per i 7 componenti di questo “Comitato nazionale di valutazione etica”: «Un giurista, scelto fra i professori universitari di materie giuridiche, o gli avvocati abilitati al patrocinio di fronte alle giurisdizioni superiori; un biotecista; un medico specialista in anestesia e rianimazione; un medico specialista in medicina palliativa, un medico specialista in psichiatria, uno psicologo e un infermiere». Nessuno Stato etico, come si vede, ma solo specialisti in grado di valutare scientificamente la sussistenza nel singolo caso dei quattro requisiti.
Come può operare un comitato unico, non si rischia un intasamento?
Non ci saranno lungaggini. Abbiamo previsto tempi certi: 60 giorni, più altri 60 per i casi considerati di particolare complessità.
Ma il nodo più complesso, considerato da molti a rischio di incostituzionalità, sembra proprio l’esclusione del Servizio sanitario nazionale.
Il Servizio sanitario nazionale è preposto a dare la vita e a proteggerla, non a toglierla. La strumentazione, il personale, il farmaco letale non dovranno essere dispensati dal Ssn, si potrà intervenire solo privatamente. Stiamo cercando, però, su questo aspetto molto delicato, il giusto punto di equilibrio. Un medico curante che presta servizio nel Ssn potrà intervenire, ma lo farà non come tale, lo farà come privato.