mercoledì 29 novembre 2023
La psicoterapeuta Parsi: «Ci sono tanti modi per uccidere le donne: c’è chi non dà coltellate, ma limita psicologicamente, umilia, schiaccia, stupra... Pensi al burqa. Filippo? Un narcisista maligno»
Maria Rita Parsi

Maria Rita Parsi - Imagoeconomica

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L’11 novembre mattina in casa Turetta ci si è alzati come in un giorno normale. Filippo, il figlio studente che non dava pensieri, è uscito come sempre. È tornato due settimane dopo da assassino. Mentre i genitori del ragazzo, 22 anni, vanno a sbattere contro l’incomprensibile («Dev’essergli scoppiato qualcosa nel cervello»), la folla ne è sempre più convinta: non cercate altrove, «la colpa è del patriarcato». Da giorni è la parola più cliccata sul web, si cerca cosa sia, è usata e abusata. «Noi non siamo una famiglia patriarcale» ha detto sgomento Nicola Turetta ripensando alla vita così normale fino all’apocalisse dell’11 novembre, poi la domanda che ci faremmo tutti, se nostro figlio fosse quel grigio ragazzo un po’ fallito, capace di massacrare senza pietà: «Cosa abbiamo sbagliato?».

Professoressa Maria Rita Parsi, lei è psicoterapeuta e da decenni si occupa anche dei disturbi mentali dei più giovani. Ci spiega il vero tema della cultura patriarcale?

Non solo in Italia, dove è un residuato, ma in tutto il mondo esiste una cultura patriarcale, dove per patriarcato si intende il controllo del corpo delle donne e della loro stessa vita da parte degli uomini. All’origine antichissima di tutta questa storia c’è la fragilità maschile: senza il costante appoggio nel femminile il maschio non è potente. La fragilità maschile ha radici universali, c’era anche nelle antiche culture pacifiche del matriarcato, dove le donne, le matriarche, avevano rapporti con i vari uomini della tribù e i figli che nascevano erano i figli di tutti. Quando un giorno il maschio ha scoperto che stando tot mesi solo lui con una donna quel nato era suo figlio, il meccanismo è cambiato: siccome il figlio è la mia continuità, l’antidoto contro la mia angoscia di morte, il corpo della donna, che è il corpo dell’origine, mi può far sopravvivere alla mia stessa morte. Allora io controllo! Tenendomi la proprietà di quel corpo, mi garantisco il fatto che mio figlio sfidando il tempo mi continuerà anche quando sarò morto.

Dunque il possesso della donna come lotta alla propria morte. Ma che colpa ne ha la donna?

L’essere umano coglie già verso i 3 anni che prima o poi morirà, come dice Sartre “la vita è una condanna a morte”, e chi è che ti condanna a morte? Chi ti mette al mondo: Eva.

Oggi come si manifesta tutto questo? E come si lega al femminicidio?

Dice Erich Fromm che l’angoscia di morte dà vita a tutte le difese psicologiche note alla scienza del comportamento: la difesa spirituale, io morirò ma c’è un’altra vita; la difesa demografica, io morirò ma i miei figli continueranno; la difesa estetica, io morirò ma la mia arte vivrà sempre… infine la difesa che tutti i giorni vediamo applicata, nelle guerre, negli sfruttamenti, nel narcisismo maligno: io morirò ma morirete tutti. Io ho un potere che è più forte del dare la vita: è il potere di dare la morte. E siamo arrivati al patriarcato! Qual è il potere che un maschio maschilista (o patriarca o come vogliamo chiamarlo) può avere sul femminile? Se la donna dà la vita, lui è quello che può controllare, e all’occasione dare anche la morte. E siamo arrivati a Giulia. Cosa diceva il ragazzo? “Se mi lasci mi uccido, senza te non vivo, non studio più”, praticamente il neonato rispetto alla madre, se tu non mi alimenti, se non mi culli morirò. Ma non è un neonato, è un adulto che non ce la fa a morire. Allora ammazza.

Ed è lo stesso meccanismo che genera le guerre?

È esattamente quello che fanno i signori di tutte le guerre, i Putin, gli Zelenski, i Kim Sung, i Biden, Hamas, Napoleone… hanno tutti la medesima cartella clinica e fanno questo: uccidono. Hanno un’angoscia di morte e dicono io morirò ma con me tutti. Sembrano casi distanti ma non lo sono, il ragazzo, non riuscendo a uccidere se stesso, proietta il dare morte su Giulia, e questi signori stando nelle camere del potere proiettano la loro angoscia di morte su milioni di vittime, soldati, civili, facendoli morire.

Funziona se la vittima è buona. “Ho paura che si faccia del male”, diceva Giulia, e per questo restava.

Io ti salverò. Portare soccorso è un materno inespresso, lei ha raccolto il pianto del neonato, ovvero di quell’adulto immaturo che aveva una rabbia profondissima da esprimere e cercava in lei un risarcimento al suo vuoto affettivo. Lei non sopportava più di assistere quel neonato adulto, ma sentendolo impotente a far del bene a se stesso proprio come un bimbo (guardava per ore il soffitto come in culla, stava attaccato all’orsacchiotto), temeva che potesse veramente morire e lo ha soccorso. Quando ha tentato di smettere, lui le ha fatto pagare a mo’ di risarcimento tutto quello che c’era da pagare.

Miliardi di uomini però non vivono come Turetta.

La grandissima parte no, certo. Però ci sono tanti modi per uccidere, non solo quelli eclatanti: altri non danno coltellate, ma limitano psicologicamente le donne, le umiliano, le schiacciano, le stuprano... Pensi il burqa come sa uccidere le donne in quanto tali.

Per fortuna da noi un talebano andrebbe in psichiatria.

Se qui della mentalità patriarcale resta un residuato è grazie alle nostre battaglie di 50 anni fa, come oggi si ribellano in Iran quelle povere disgraziate cui viene rotta la testa perché non mettono il velo.

Turetta però avrà pure qualcosa di patologico e diverso dai ragazzi davvero per bene…

Ha una grave patologia, è un narcisista maligno, ma sa quante gravi patologie esistono e prendono altre forme? Noi stiamo guardando all’eclatanza del fatto e non guardiamo invece al sistematico processo di limitare e controllare la donna. Appena è uscita questa storia, sa quante donne hanno preso in mano la loro condizione e hanno cominciato a chiedere aiuto?

Non teme un rancore crescente, anche nelle giovanissime, nei confronti della metà maschile in toto? A volte si respira una guerra anziché una battaglia da combattere insieme.

Cito Nietzsche e Lou von Salomé, allieva di Freud: gli uomini e le donne sono un esercito l’un contro l’altro armato. Io capisco l’angoscia dei tantissimi giovani diversi da Turetta, perché comunque sentono di vivere in una umanità nella quale i soggetti come Turetta fanno questo da decine di migliaia di anni. Le donne sono millenni che subiscono l’abbandono, se avessero dovuto uccidere gli uomini che le hanno tradite, sul pianeta rimarrebbe un drappello di maschi.

In piazza il 25 novembre gli uomini erano numerosi.

Tutto quello che chiamano “femminismo” è stato sostenuto da tantissimi uomini maturi, ben allevati da figure femminili che hanno permesso loro di sviluppare un maschile potente, non impotente, e questo è importante.

Scarpe e panchine rosse. Ma poi dilagano le canzoni “trap” di Sfera Ebbasta (e altri), zeppe di maschilismo.

Sa perché non è libertà d’espressione? Perché non c’è dietro una cultura. L’epiteto con cui il “trapper” nella canzone apostrofa la ragazza deriva da una menzogna antica, infatti da secoli studiamo che la guerra di Troia è scoppiata per punire l’infedeltà femminile, ma in realtà il tradimento di Elena a Menelao non è punito da nessuno perché, sia chiaro, Troia è stata espugnata solo con l’inganno del cavallo, non per il valore dei maschi. Ulisse, il fraudolento, non è affatto un esempio da esaltare, invece da secoli ne facciamo un eroe, “lui sì che sapeva come si trattano le donne”, tant’è che Penelope non si è mai stancata. Troia nel lessico è rimasta il simbolo dell’abbandono femminile, che è la cosa più inaccettabile. Ma oggi Penelope si è stancata.

Ora di questo ragazzo che cosa ne sarà?

Prima di tutto ci sarà la legge, che lo punirà. E poi si proverà a curarlo, c’è la psicoterapia, la farmacoterapia. Ma non si libererà mai di ciò che ha fatto, la condanna dell’inconscio nei casi di chi ha ucciso è ben peggiore di quella penale. Perché Dio perdona, l’inconscio no.

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