Giuseppe Guzzetti durante un incontro dell'impresa sociale "Con i bambini" - Dal Web
A 90 anni appena compiuti, Giuseppe Guzzetti ricorda quand’era bambino. «Fino a 6 anni ho vissuto coi nonni materni. A colazione si mangiava pane, cotto nel forno collettivo, col latte. C’era povertà, è vero; era una povertà dignitosa». A Turate, a Cascina Piatti, dove è nato, l’uomo che per oltre vent’anni ha guidato Fondazione Cariplo deve molta parte dei suoi ricordi di gioventù. «Ho imparato molto dalla società contadina. Ho appreso lì cosa vuol dire avere una comunità coesa. Le mucche erano un patrimonio inestimabile, così come le scrofe che facevano 10, 12 maialini: il contadino ne teneva uno solo, vendeva i piccoli e vedeva i primi soldi. L’economia rurale così cresceva».
La memoria legata al territorio resta l’architrave del suo pensiero. Prima e forse più degli spunti ricevuti dal mondo della politica e della finanza, che pure ha ben conosciuto. Le prime lezioni di vita vennero dai preti dell’epoca. «Erano innovativi, inventarono le cooperative di consumo per fare credito ai contadini per l’acquisto degli alimenti quotidiani: saldavano il conto dopo la vendita del vitello e dei prodotti derivati. Cosa inventò il parroco della Cascina Restelli? La cooperativa de la vaca morta. Se la mucca doveva essere abbattuta, e la carne era buona, con la cooperativa le altre famiglie acquistavano un pezzo di carne e il contadino aveva i soldi per comprare un’altra mucca; poteva accadere ad un altro contadino, di essere in difficoltà; ma si era creata una rete, un paracadute di solidarietà con benefici per tutti». Quel principio rispecchia l’ideale di giustizia sociale che da sempre sta a cuore a Guzzetti, uomo impegnato su molti fronti: avvocato, politico, filantropo. «La parte più bella della mia vita è quella vissuta in Fondazione Cariplo». La capacità di mettere in dialogo mondi diversi resta un suo grande tratto distintivo. «La sfida è duplice: unire le generazioni perché i problemi si possono superare soltanto insieme; e poi bisogna costruire comunità che contrastino l’individualismo egoistico: la realizzazione delle fondazioni di comunità sui territori è stata lungimirante e strategica e oggi se ne vedono i frutti».
Avvocato Guzzetti, il racconto della sua infanzia coincide con una fase storica del Paese, che fu insieme di travaglio e di rinascita. Che ricordi ha?
Fin da bambino, assistevo alle discussioni dei miei nonni e dei miei zii: erano antifascisti. A 14 anni attaccavo i manifesti, a 19 facevo i comizi di notte. Studiavo al Collegio Ballerini di Seregno, sotto la direzione illuminata di don Luciano Ravasi, uomo eccezionale. Alla sera si andava a letto presto; a una cert’ora, d’accordo con don Luciano, uscivo di nascosto, saltavo la cinta, andavo a Giussano a fare la campagna elettorale per la Dc nelle cascine e nelle frazioni. Sono passate alla storia come le elezioni della “legge truffa”: ci si scandalizzava perché De Gasperi voleva garantire un premio di maggioranza del 5% non al suo partito ma alla coalizione che aveva ottenuto il 50% più uno dei voti. L’obiettivo non era rafforzare la Democrazia Cristiana, ma l’attività del Parlamento, spesso paralizzato dall’ostruzionismo dell’opposizione socialista e comunista. Se penso ai progetti di riforma di oggi, con premio del 20% e più… Qual è la vera legge truffa?
Ha citato De Gasperi, che fu protagonista della stagione della ricostruzione, in Italia e in Europa. Qual è l’eredità dei grandi leader di quella stagione?
Con De Gasperi, Schuman, Adenauer, si realizzò l’idea di un’Europa che era nel destino dei nostri popoli. Era l’Europa della solidarietà, che usciva dal secondo conflitto mondiale. Oggi l’Europa ha deluso molti, il progetto unitario si è fermato. I padri fondatori erano dei giganti, ma anche chi li seguì, da Kohl a Mitterrand, seppe mettere davanti all’interesse nazionale quello comunitario, nei momenti di crisi. Era il primo passo verso gli Stati Uniti d’Europa; purtroppo, per 15 anni, sotto la guida della Merkel, tanti ideali sono stati traditi.
Qual è stato l’errore, in quella fase storica? Aver ceduto alle logiche della sola finanza?
Se parliamo in generale, uscendo dalla metafora europea, va detto che l’economia non è mai neutrale, ma risponde a principi, interessi, obiettivi. Il mio maestro, Francesco Vito, professore alla Cattolica che ho frequentato dal ‘53 al ‘57, già nel 1931 aveva pubblicato un testo in cui affermava il rischio che l’economia strumentalizzi l’uomo. Non è quello che ha affermato poi Papa Francesco nella “Fratelli Tutti”? Prima c’è l’uomo; ai suoi valori e ai suoi bisogni va piegata l’economia. Non il contrario. Se ne stanno accorgendo anche alla Scuola di Chicago, dove per anni anche un solo soldo sottratto agli azionisti veniva considerato un atto di lesa maestà. Hanno capito che le aziende devono investire in ambiente e sociale. Quando è caduto il collettivismo comunista si è detto: il mercato ha vinto, lasciate fare al mercato, la povertà scomparirà e tutti saranno più ricchi. Oggi constatiamo che la povertà non è scomparsa ma aumentata e le distanze tra le classi sociali si sono allargate, mentre i Paesi poveri sono ancora più poveri.
Con Fondazione Cariplo, lei ha condotto per oltre vent’anni una lotta senza quartiere contro la povertà, in particolare la povertà educativa. Qual è il suo bilancio?
Nel 2015 la Caritas ambrosiana documentò che nella ricca Milano c’erano due povertà che interessavano 25mila bambini. La povertà tout court delle famiglie, che potevano permettersi un pasto completo una sola volta al giorno, anche grazie alla mensa della scuola o al sacchetto recapitato alle famiglie. L’altra era la povertà educativa, con ragazzini che non frequentavano la scuola o lo facevano saltuariamente. Avevano il destino segnato: finire tra i Neet, giovani che non studiano e non lavorano. Dati da non dormirci la notte. Ci confrontammo con lo staff dell’area Servizi alla Persona. Volevamo un progetto per estirpare la povertà educativa a Milano. Nacque “QuBì”, il programma che si è dimostrato essere un nuovo modello di welfare di prossimità nel capoluogo lombardo. In questi anni, grazie all’Acri, l’Associazione di Fondazioni e Casse di risparmio italiane, alla Fondazione con il Sud e all’Impresa sociale Con i Bambini, in Italia abbiamo sostenuto progetti per centinaia di migliaia di bimbi a rischio, destinati ad un futuro triste e di emarginazione. Resta però ancora un grande lavoro da fare.
Solo sul fonte del sociale?
Assolutamente no. Gli interventi nella ricerca, nella cultura e sul fronte ambientale che fa Cariplo, sono altrettanto importanti, fondamentali; contribuiscono a contrastare le disuguaglianze. La via è quella indicata da Azzone; lavorare per macrobiettivi, non a compartimenti stagni. Anche il presidente Fosti ha lavorato in questa direzione. Cambiano le persone, ma la Fondazione prosegue nella coerenza.
Soltanto nell’anno scolastico 2021-2022, ben 83mila ragazzi hanno perso l’anno a scuola perché non hanno raggiunto il numero minimo di presenze necessario.
Occorre potenziare le “comunità educanti”: con la scuola dobbiamo coinvolgere le famiglie, gli enti locali, il Terzo settore, il volontariato. Ci sono più di 6 milioni di italiani poveri in Italia: la nostra cultura della solidarietà non deve arretrare! Lo ha detto anche il cardinale Zuppi. Dobbiamo unirci per contrastare le disuguaglianze, o saremo tutti responsabili. Le aziende lo stanno capendo e attuando: la prima banca italiana, Intesa Sanpaolo, ha destinato 1,5 miliardi di euro con questo scopo, nel piano di attività 2023-2027. È l’ora di un grande patto, che unisca giovani e anziani, in nome di una nuova giustizia sociale.
Cosa possono fare i governi oggi, in tempi in cui si parla di declino degli Stati nazione?
Le democrazie occidentali si fondano su tre pilastri: Stato, mercato, Terzo settore. Lo Stato non ce la fa più, il mondo del volontariato non fa solo sussidiarietà, ma anche supplenza. Negli Stati che si avviano a forme autoritarie, il primo attacco è portato al Terzo settore, al privato sociale e al volontariato, Ungheria e Orban insegnano. Dobbiamo valorizzare il non profit, attuando pienamente la riforma del codice del Terzo settore: se crolla, gli effetti saranno ben peggiori di ciò che vediamo oggi, non ce ne rendiamo conto a sufficienza.
Che idea si è fatto dell’intelligenza artificiale? È più preoccupato o più fiducioso?
Oggi ci si basa sulla tecnologia e sugli algoritmi. Ammiro il presidente di Fondazione Cariplo, Azzone, quando dice che l’analisi dei dati è importante per prendere le decisioni, per quello che lui chiama welfare di precisione; chi ha la conoscenza in questo campo decide anche il destino degli altri. Il rischio è che a deciderlo siano i calcoli fatti dalle macchine, tarati su obiettivi che non hanno al centro la giustizia sociale. Tecnologie e intelligenza artificiale possono essere strumenti utilissimi per chi ha ruoli di responsabilità, tutto dipende da quale input viene dato alla macchina: se è quello di massimizzare i profitti e concentrare il potere su poche persone, avremo un futuro difficile.
Siamo prossimi alle elezioni europee. Lei cosa vede?
Il nostro futuro dipenderà in larghissima misura dall’Europa e dalla sua capacità di realizzare quel disegno che Spinelli, Colorni e Rossi avevano indicato nel manifesto di Ventotene; l’appello è di andare a votare. Chi non vota consegna il proprio futuro a coloro che votano. In questa campagna elettorale, sono emerse chiaramente due visioni: una, di Meloni e Salvini, che vuole riportare indietro l’Europa fin qui realizzata; dall’Europa dei popoli, all’Europa delle nazioni, nella quale gli interessi dei singoli Paesi prevalgono su quelli comuni. È la fine dell’Europa. La seconda è quella di chi vuole proseguire, migliorando il percorso tracciato dai fondatori, portando l’Europa verso una maggiore integrazione. Spero vadano a votare i giovani, che tanti benefici hanno avuto dall’Europa, per consolidare e rafforzare i traguardi raggiunti.
Presidente Guzzetti, in occasione dei suoi 90 anni avrà ricevuto molti auguri. Qual è stato il più bello?
Quello del presidente Mattarella, che in ogni occasione richiama i valori della nostra Costituzione nata dalla Resistenza e dall’antifascismo. E quelli delle tante persone con cui abbiamo lavorato in questi anni in Cariplo. Che squadra!