giovedì 15 ottobre 2015
La richiesta delle 33 associazioni che costituiscono l'Alleanza contro la povertà: basta con misure-spot. Il governo ci mette 600 milioni.
Oggi la Legge di stabilità: spending review a rischio e ipotesi part-time prima della pensione

Il dovere di agire ora di Francesco Soddu
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Non è solo una questione di risorse. Ma di metodo, di percorsi, di obiettivi a lungo termine. Basta, dunque, alle sperimentazioni di contrasto alla povertà che durano da quasi venti anni senza risultati; stop alle misure spot che al massimo valgono il tempo di dodici lune. All’Italia invece, questa la richiesta dell’Alleanza contro la povertà a poche ore dalla presentazione della legge di Stabilità, serve un piano organico di contrasto all’indigenza con una misura strutturale, graduale e universale. Come il Reis (Reddito di inclusione sociale) che il cartello di 33 organizzazioni propone da due anni. Non interventi per categorie, come al contrario il governo è intenzionato a inserire nella manovra di bilancio limitando gli aiuti a 600-700mila famiglie povere con minori (circa un milione). La volontà dell’esecutivo, secondo indiscrezioni, è infatti aumentare il Fondo povertà 2016 di 600 milioni, facendolo salire a 1,4 miliardi di euro; risorse dedicate sia a chi percepisce l’Asdi (assegno di disoccupazione) che a rendere nazionale il Sia (sostegno di inclusione attiva).  Ogni azione comunque verrà letta e giudicata «guardandola attraverso la lente della giustizia sociale » assicura il presidente delle Acli e portavoce dell’Alleanza, Gianni Bottalico, ribadendo che la lotta alla povertà va inserita in «un grande compito: rendere il Paese più equo e più giusto». Una priorità che va affrontata con «risorse chiare, tempi e obiettivi certi». E non ci si può più trincerare dietro l’affermazione che qualcosa è meglio di niente. Perché «finisce per essere l’ennesimo intervento che premia una categoria di bisogni contro l’altra», ricorda il direttore di Caritas italiana don Francesco Soddu, e si espone alla critica di partire «da chi ha maggiore rappresentanza politica», non maggiore bisogno. Per questo, per non rischiare di essere categoriale, aggiunge, un provvedimento contro la povertà delle famiglie «deve essere un anticipo di una misura universale definendo sin dall’inizio le tappe di un percorso» verso un piano nazionale. Gli step delineati dall’Alleanza sono, infatti, un programma su quattro anni che, partendo con 1,8 miliardi, a regime costerebbe 7 miliardi e coinvolgerebbe tutta la rete dei servizi territoriali di welfare. «Costruzione di futuro, inclusione sociale e universalismo» sono perciò le tre parole chiave del Reis, sottolinea il sociologo della Cattolica Cristiano Gori, quello che non è chiaro invece è «in quale progetto è inserito l’intervento del governo sui minori» e «quale ruolo sarà dato ai servizi locali». Certo è il momento di «smetterla con le sperimentazioni sulla povertà e delle misure una tantum», secondo il portavoce del Forum Terzo Settore Pietro Barbieri, occorre un piano nazionale per contrastare la povertà assoluta che «restituisca dignità alle persone e renda reale la presa in carico dello Stato». Più aiuti e servizi ai poveri, in realtà, contribuiscono anche a dare impulso all’economia. Ne è convinto il responsabile di Confcooperative, Maurizio Gardini, che riconosce al Reis la capacità di «reale reinserimento nell’economia e nella società delle persone finora ai margini». I provvedimenti della legge di Stabilità, si augura, dovranno essere «il primo passo per riorganizzare i modelli di welfare del Paese, puntando sulla partecipazione delle persone». Avendo come obiettivo di fondo «la lotta all’impoverimento come scelta strategia del governo» gli fa eco Lorenzo Lusignoli del dipartimento Politiche sociali della Cisl, perché una misura ristretta «figlia ancora della logica di compatibilità del bilancio» rischia di sprecare risorse «per mettere qualche bandierina» solo finalizzata al consenso.
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