martedì 10 maggio 2016
​Il compromesso al ribasso uscito da Palazzo Madama rischia di non essere riesaminato e corretto. Una scelta che non ferma il simil-matrimonio.
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La fiducia sulla legge delle unioni civili non ne cancellerà le tante incongruenze giuridiche. Storture che, al di là di qualsiasi sottolineatura etica, evidenziano i limiti derivanti da quello che il professor Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, ha definito un «compromesso al ribasso». Un accordo che non è riuscito a migliorare l’impianto di una norma palesemente costruita per due obiettivi: porre le basi per un 'simil-matrimonio' ideologico e aprire la strada all’adozione per le coppie omosessuali. Il congelamento della stepchild, a parere dei numerosi giuristi intervenuti, rischia infatti di diventare un divieto formale che non impedirà il raggiungimento dell’obiettivo. Ecco i passaggi che suscitano i maggiori dubbi. UGUGLIANZA TRA LE DIVERSE CONDIZIONI. Il punto 1 della legge approvata in Senato conferma la dizione 'specifica formazione sociale'. Ma inserisce il richiamo all’ articolo 3 della Costituzione ('Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione) per rimarcare con forza il senso di uguaglianza tra le diverse condizioni e aprire la strada a sviluppi futuri (adozione palese per le coppie omosessuali). UN RITO IDENTICO Il punto 3 richiama una nuova analogia con il matrimonio, spiegando che l’unione civile viene sancita mediante 'dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni'. L’ufficiale di stato civile 'provvede a registrare gli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso'. Anche in questo caso evidente la sovrapposizione tra matrimonio civile e unioni omosessuali. IGNORATA LA CONSULTA Tutti  gli altri punti fino al 19 – contestatissimo il punto 10 che permette alla coppia omosessuale di assumere un cognome comune scegliendolo tra quelli dei due partner – ricalcano le norme del codice civile che riguardano il matrimonio. Mentre la sentenza n.138 del 2010 aveva indicato un’altra direzione, ribadendo che «le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio». IL PASTICCIO ADOZIONI Il punto 20 è quello maggiormente ingarbugliato. «...le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole 'coniuge', 'coniugi' o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184…». L’articolo nega nella seconda parte ciò che ha affermato all’inizio. Dopo aver espresso la volontà di equiparare in tutto e per tutto lo status dei coniugi che hanno contratto matrimonio a quello delle persone che hanno scelto le unioni civili, afferma che dall’equiparazione sono esclusi i riferimenti alla legge 184 del 1983. In realtà l’equiparazione, ribadita sia nella parte iniziale del comma sia nei punti successivi, indebolisce l’esclusione e apre la strada ad un aggiramento del no alla stepchild adoption. La specificazione: «Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti», permette infatti ai giudici minorili di poter comunque intervenire caso per caso nel procedimento di adozione, tenendo conto del nuovo istituto giuridico che si viene a creare con le unioni civili. E infatti in questi due mesi sono già sette le sentenze a favore dell’adozione per coppie omosessuali (spesso una stepchild reciproca e incrociata). CONVIVENZE DI FATTO Altrettante  perplessità per la parte della legge che regole le convivenze di fatto (punto 36 e seguenti). Come si accerteranno 'i legami affettivi di coppia'? Con un’indagine di polizia? Le norme sull’abitazione poi (punto 42 e seguenti) sembrano discriminare i figli di primo letto. La casa familiare, in caso di morte del proprietario convivente e con figli, che aveva già moglie e altri figli, resta in godimento della nuova compagna per almeno tre anni a prescindere dalle condizioni economiche. E i figli di primo letto? E la moglie? Alla porta, prego.
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