giovedì 19 marzo 2020
Tremila famiglie in attesa, frontiere chiuse e bambini bloccati nei Paesi di origine Fondi esauriti, gli enti chiedono misure urgenti al governo: 7 milioni per sopravvivere
«Sos adozioni, crolla tutto»
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Oltre tremila bambini attendono di diventare italiani. Sono i piccoli già adottati dalle famiglie italiane o la cui pratica di adozione avrebbe dovuto definirsi in queste settimane. Poi l’emergenza coronavirus ha bloccato tutto. Paesi che si chiudono, viaggi bloccati, famiglie costrette a rimandare i loro progetti. Una situazione che non solo rischia di allungare a tempo indeterminato l’approdo dei bambini nel nostro Paese, ma anche di mandare in default l’intero sistema delle adozioni. Il mondo del terzo settore, com’è noto, non dispone di riserve economiche per poter resistere a catastrofi come questa. Nel caso degli enti che si occupano di adozioni, senza le risorse derivanti dai contributi delle coppie non è possibile andare avanti.

«Se questa crisi proseguirà ancora a lungo, rischiamo di chiudere tutti. Si tratta davvero di una situazione difficilissima », spiega Pietro Ardizzi, portavoce di “Adozioni 3.0”, il cartello che raccoglie 47 enti autorizzati (praticamente tutti). E il nostro “sistema adozioni” non solo svolge un servizio pubblico tanto rilevante quanto delicato, ma rappresenta una ricchezza sociale inestimabile dal punto di vista dell’impegno civile, della testimonianza solidale e della cooperazione internazionale. Una rete che è frutto di anni e anni di intelligente e paziente tessitura. Sarebbe un grave errore non fare nulla per salvaguardarla. «Per questo – dice ancora Ardizzi – abbiamo chiesto al ministro per la famiglia, Elena Bonetti, un sostegno per coprire i costi vivi della nostra attività per i prossimi mesi. In un anno le nostre spese toccano complessivamente i 14 milioni. Chiediamo una garanzia per sei mesi, cioè sette milioni, un intervento che ci permetterebbe di far fronte al pagamento del personale, al sostegno delle attività con le famiglie e alle spese che dobbiamo comunque continuare ad affrontare per le nostre delegazioni nei Paesi esteri». In gioco, oltre naturalmente al destino dei bambini e delle famiglie adottive, c’è quello di circa 200 dipendenti a tempo pieno e di un numero di collaboratori almeno doppio.


Griffini (Aibi): non potremo resistere a lungo. E cosa succederà nelle altre aree del mondo?
Crestani (Ciai): gli abbinamenti già conclusi non dovrebbero essere messi in forse. Ma...



«In questa situazione è difficile fare previsioni sui tempi – osserva Marco Griffini, presidente Aibi – ma non potremo resistere a lungo. Bisogna anche considerare che, quando riusciremo a ripartire in Italia, l’effetto del contagio continuerà a farsi sentire negli altri Paesi, dove adesso è in fase iniziale. E poi si tratta di capire quando potranno ripartire i voli. A giugno, a settembre?». Domande a cui nessuno può al momento dare risposte fondate. Come è difficile capire se gli abbinamenti famiglie– bambini già conclusi saranno confermati nel tempo. C’è il rischio che ogni Paese agisca in base a criteri diversi. E che quindi la sorte di alcuni bambini possa essere rimessa in forse con esiti comunque spiacevoli. Mesi, spesso anni, di attesa e di preparazione, oltre che speranze di accoglienza coltivate a lungo nel cuore delle famiglie, che potrebbe andare in fumo in poche settimane.

«Probabilmente – sottolinea Paola Crestani, presidente Ciai – sarà indispensabile valutare caso per caso. Di fronte ad abbinamenti già conclusi, la situazione dovrebbe comunque essere consolidata. Le famiglie non hanno nulla da temere. Certo, si tratta di capire quando l’emergenza finirà. E quando potremo ripartire. Nel frattempo dobbiamo continuare a camminare. E in questo momento possiamo farlo solo grazie al sostegno delle istituzioni». Anche perché la crisi determinata dal coronavirus si inserisce in un quadro di emergenza già pesantissima. Dalle 1.394 adozioni del 2018, si è passati alle 969 dello scorso anno. Per il 2020 era già preventivato un ulteriore calo. Ora però c’è chi addirittura ipotizza un dimezzamento. O ancora peggio. Parlare di anno nero per le adozioni è fin troppo facile. Il problema sarà quello di quantificare il “rosso”. E si tratta di un’operazione su cui nessuno al momento vuole fare previsioni azzardate. «Dobbiamo dircelo con chiarezza – ribadisce Gianfranco Arnoletti, presidente del Cifa di Torino – senza aiuti statali il sistema delle adozioni non reggerà. Noi abbiamo chiuso gli uffici e attendiamo di capire come potremo andare avanti. Abbiamo 17 persone a tempo pieno e soltanto l’affitto dei locali ci costa 50mila euro l’anno. Difficile capire come provvedere. Nel frattempo dobbiamo però continuare a tenere viva la nostra rete nei Paesi esteri, perché la realtà dei collaboratori rimane preziosa e insostituibile. Ma senza entrate siamo ai limiti dell’impossibile».


(Cifa): costretti a chiudere gli uffici, si lavora da casa, ma per quanto? Spese insostenibili. E la presidente Cai, Laura Laera rinvia i termini per i rimborsi 2012–2017

In tutto questo quadro a tinte fosche – in attesa di un segnale forte da parte del ministro Bonetti – c’è un piccolo spiraglio di luce. La Cai (Commissione adozione internazionale) ha deciso di rinviare i termini per la richiesta dei rimborsi del periodo 2012–2017. Al precedente bando avevano dato risposta solo il 60% degli aventi diritti e il governo ha deciso quindi di dare la possibilità anche ai ritardatari di fare richiesta per ottenere il 50% delle spese sostenute per l’adozione. Peccato che i termini del bando fossero fissati alla fine di aprile, un periodo quanto mai inopportuno visto quello che sta capitando. Gli enti hanno fatto notare la difficoltà di raccogliere e presentare i documenti in queste settimane sconvolte e la presidente della Cai, Laura Laera, ha provveduto in pochi giorni a bloccare tutto. Se ne riparlerà quando la crisi coronavirus sarà superata e nessuna famiglia adottiva rischierà così di perdere i contributi.

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