La palazzina di Ravenna dove è avvenuta la tragedia - Ansa
Violenze, oltraggi, paure, indifferenza. I fantasmi nella mente di Giulia Lavatura da tempo avevano preso la forma del male. E il male la mamma di 41 anni di Ravenna che ieri ha tentato di uccidersi gettandosi dal nono piano di una palazzina, finendo con l’uccidere solo la sua bimba di 6 anni, lo vedeva dappertutto: nelle ricevute dei lavori di casa, nella disposizione delle camere e dei bagni, nel comportamento dell’anziana madre, nei silenzi del marito. Raccontava il suo disagio e la sua rabbia al centro di salute mentale presso cui era in cura: che avesse bisogno d’aiuto, Giulia, l’avevano capito un po’ tutti attorno a lei. E in mezzo ai suoi pensieri, piantato nella sua testa e nel suo cuore, c’era sempre suo padre: «Violento e aggressivo» ripeteva, accusandolo di trattarla come una pazza, di averle imposto numerosi Tso, d’aver convinto i dottori a darle farmaci per stordirla. L’ha scritto anche nel lungo post consegnato a Facebook prima del suo tentativo di suicidio. «Nessuno me lo tiene lontano. Mi perseguita. Non lo voglio vedere, non voglio frequentarlo. Non mi sembra di chiedere tanto. Niente ordinanza restrittiva, perché non ho video delle brutte violenze domestiche. Inutile questura, ero incinta, nemmeno questo per tutelarmi». Fermi immagine di una violenza forse subita durante l’infanzia, forse solo immaginata, questo ora andrà ricostruito dagli inquirenti. A dispetto di questo Giulia s’era costruita una vita normale:aveva sposato un uomo tranquillo, Davide, era diventata mamma della splendida Wendi, una bimba sempre sorridente, sempre appiccicata al cucciolo di famiglia, il cagnolino Gessi.
È soprattutto sulla loro incolumità, però, che s’era concentrata l’attenzione malsana di Giulia nelle ultime settimane: «Il Natale 2023 della mia bimba di 6 anni: sto nonno orripilante, che ci urla contro di continuo spaventandoci – continua la donna nel post – e la nonna demente, che la tiene al camino a prendere gli spruzzi bollenti in faccia. Non parliamo di come trattano (e hanno trattato a febbraio 2018) la mia barboncina. Vergognatevi». Persino il marito, secondo la donna, aveva delle responsabilità: «Davide mi dispiace, non mi aiuti a tenerlo lontano. Te l’ho chiesto mille volte. Non proteggi la tua famiglia». Finché ieri mattina, poco dopo 7, quella sindrome d’accerchiamento s’è trasformata in folle piano: Giulia ha chiuso il pc, ha preso in braccio la piccola Wendi e il cagnolino e via, verso il balcone dell’appartamento al nono piano. Inutile la presenza dello stesso Davide in casa, addormentato in camera da letto, inutili le urla della piccola che i vicini ripetono d’aver sentito nitidamente prima del volo: la donna s’è lanciata giù, nel vuoto. Per la piccola e per l’animale non c’è stato nulla da fare: morti sul colpo. Lei invece, complici le impalcature che ricoprono la palazzina e che hanno attutito la sua caduta, è sopravvissuta all’impatto: non è in pericolo di vita, ce la farà. I giudici ne hanno già disposto l’arresto.
Ravenna è una città sotto choc, tra lo sgomento del sindaco Michele de Pascale e quello di molte famiglie che Giulia conoscono e frequentano: la donna è un’ingegnera civile strutturista, alle spalle anni di insegnamento come supplente di fisica e di matematica, nel cassetto il sogno (quasi realizzato a dire il vero) di entrare in ruolo. «Avevo bisogno di aiuto e di un docente che andasse al mio passo e seguisse i miei tempi e Giulia è stata una delle poche persone che ha avuto l'attenzione e la sensibilità di capirlo» l’ha ricordata una sua ex allieva. Eppure, di quello che stesse attraversando, nessuno s’era accorto davvero: né Davide, né le amiche o le studentesse. Giulia era drammaticamente sola.
La tragedia di Ravenna ripropone, così, la necessità dell’attenzione costante alla salute mentale (ciò che è diventato una vera e propria emergenza dopo il Covid, con interventi istituzionali a dire il vero ancora scarsi dal punto di vista della prevenzione) e in particolare a quella delle madri: «Sono troppe le storie di mamme che arrivano a compiere simili gesti – il monito del Moige –. Occorre fornire un supporto emotivo, pratico e psicologico alle donne». La proposta del Movimento genitori è quella di riprendere la figura, immaginata ma mai concretizzata, della figura dell'assistente materna: «Un sostegno per le mamme e un modo per costruire una rete di relazioni che la maternità rendano serena e più consapevole».