venerdì 6 gennaio 2023
Americo Cicchetti, direttore di Altems (Università Cattolica): non basta quanto previsto dal Pnrr, bisogna migliorare produttività ed efficacia
Le Case della comunità? Serve un modello a geometria variabile

Le Case della comunità? Serve un modello a geometria variabile - Ansa

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«Per non “perdere” il Servizio sanitario nazionale (Ssn) occorre mettere mano a riforme su due fronti: valutazione delle innovazioni tecnologiche e gestione del personale. Anche a costo di scontentare qualcuno». Americo Cicchetti (direttore di Altems, Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari dell’Università Cattolica) sottolinea che, approvata la manovra («già impostata dal precedente esecutivo»), ora bisogna puntare a un piano più ampio: «Non basta quanto previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), bisogna riuscire a migliorare l’organizzazione per incrementare la produttività e l’efficacia».

La manovra ha previsto 2 miliardi in più per la sanità. Sono sufficienti?
Nelle sue linee principali, la manovra è quella impostata dal governo precedente, nei suoi Documenti di economia e finanza (Def): si torna a una crescita in linea con gli anni pre-Covid, quando dal 2014 la spesa aumentava di 1-1,5 miliardi l’anno (+1,5%). Ma a dicembre 2021 non c’erano l’inflazione attuale, né gli effetti del caro energia e della guerra. Oggi la manovra, pur garantendo una crescita della spesa del +2,5%, dà meno di quello che sarebbe stato utile, ma non è corretto dire che è tutta colpa di questo governo. Però di questi 2 miliardi, circa 1,4 è destinato al caro energia: quindi sono pochi 600 milioni, più qualche centinaio di milioni per finanziare vaccini e farmaci anti Covid.


Nei due anni del Covid, la spesa sanitaria è stata di 7 miliardi superiore al pur aumentato finanziamento. Quanto ci vorrà per ripianare il “buco”?

Quei 7 miliardi sono ormai entrati nel debito pubblico, ma la vera domanda è: dobbiamo aumentare il finanziamento o pensiamo che siano stati spesi male? Sicuramente occorrono più fondi, ma per non buttare acqua in una pentola bucata, occorrono riforme per recuperare efficienza. Il Pnrr introduce una sola riforma di sistema, quella della medicina territoriale. Ma occorre riformare anche la valutazione delle tecnologie e la gestione del personale.

Che cosa significa?
Dobbiamo rivalutare il modo in cui identifichiamo i livelli essenziali di assistenza nel campo delle tecnologie che introduciamo, compresi i farmaci (health technology assessment). Devono essere utilizzati meccanismi più razionali per offrire prestazioni più appropriate. Un nuovo dispositivo medico o un farmaco innovativo devono avere chiare evidenze di costo-efficacia nel lungo termine prima di essere ammessi al rimborso.

E il personale? Mancano medici e infermieri perché la programmazione delle scuole di specializzazione non è stata tarata sulle necessità del Ssn, ignorando il numero di chi andava in pensione?
Credo che si debbano sfatare alcuni miti. Tranne che nella emergenza-urgenza, non abbiamo carenza di personale medico in confronto agli altri Paesi europei: lo dicono i dati Ocse. Mancano sicuramente, invece, gli infermieri. Ma quel che pesa di più sono la scarsa remunerazione del personale medico e la carenza di motivazione nel lavoro. La maggior lamentela dei medici è il caos dei reparti: quando serve, manca l’infermiere o il tecnico oppure la macchina della risonanza è già impegnata... Bisogna controllare come e dove viene impiegato il personale (troppi in ospedale e pochi sul territorio) e mettere mano ai contratti. E va anche ripensato il modo in cui si organizza il lavoro nel sistema sanitario pubblico.

Vale a dire?
Un’anomalia che va affrontata è quella della libera professione con l’intramoenia allargata: il medico che al mattino lavora nel sistema pubblico, al pomeriggio lavora per il privato. Creando un grande squilibrio, anche per quel che riguarda le liste d’attesa, per le quali il precedente governo aveva stanziato solo 500 milioni, insufficienti per ridurle in modo netto. Per questo dicevo che occorre anche mettere mano a una rivisitazione dei contratti. I medici per fare carriera sono “costretti” ad assumersi responsabilità di gestione, ma non tutti lo vogliono fare e non tutti sono buoni manager. Dobbiamo dare loro la possibilità di scegliere tra una carriera professionale e una manageriale, con medesimi oneri e onori, per valorizzare le competenze di tutti.

Il ministro Schillaci ha detto di voler ripensare le Case della comunità. Non sono legate al Pnrr?
Alcuni finanziamenti e contratti sono già stati avviati. Ma il modello deve essere a geometria variabile: la Casa della comunità può funzionare in centri con almeno 40mila abitanti (la misura standard), non nei centri piccoli e isolati. Insomma, se si può rinegoziare qualcosa nel modello della Casa della comunità, è il momento di farlo. È impensabile che questo modello funzioni su tutto il territorio nazionale. Abbiamo fatto tanta fatica a chiudere i piccoli ospedali, vogliamo riproporli negli ospedali di comunità?

Quali possono essere sul territorio le alternative alle Case della comunità?
Nei piccoli centri occorre far lavorare obbligatoriamente insieme i medici di medicina generale che ci sono. Devono essere più integrati nel Ssn, dare un servizio con una copertura precisa: per questo comparto si spende il 6% della spesa sanitaria globale (quasi 10 miliardi) e non riusciamo a capire quale valore generi.

Occorre una nuova spending review?
No, l’opposto. La spending review diceva di fare le stesse cose con meno soldi. Invece ora serve fare di più con quello che abbiamo, far fruttare meglio le risorse che destiniamo alla sanità. Per farlo occorre incrementare la produttività del personale, organizzandolo meglio, non stancandolo, ma offrendo migliori condizioni di lavoro. Solo dopo aver riorganizzato il Ssn sui due fronti delle tecnologie e del personale, sarà utile aumentare le risorse, perché in ogni caso abbiamo una popolazione che invecchia e questo fa aumentare le richieste sanitarie. Se non si procede a riformare il Ssn sul fronte delle tecnologie e del personale, il rischio è che non riesca più a rispondere ai bisogni di tutti e a ottemperare alla sua missione universalistica. E a perderci sarebbero sempre le persone più deboli, economicamente e culturalmente.

Ma il governo ha mostrato nella manovra un’intenzione simile?
La manovra è stata fatta in tempi rapidi, e non sono stati fatti grandi ragionamenti sulla sanità, ma in futuro dovrà fare molto, anche se avrà reazioni di operatori e sindacati. Ma occorre evitare il rischio di buttare a mare il Ssn. Solo un governo all’inizio del mandato può affrontare un compito di questo tipo.

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