venerdì 19 aprile 2019
Strasburgo (Cedu) ha riconosciuto fondato il ricorso presentato da un padre che, nonostante tre decreti favorevoli del Tribunale per i minorenni, non riusciva a vedere il figlio
(Sintesi)

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Per la quarta volta in pochi la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per non aver rispettato i diritti fondamentali dei genitori separati. L’ultima sentenza è arrivata nel 2018, ma è stata resa nota solo nei giorni scorsi (i precedenti pronunciamenti nel 2010, 2013 e 2016).

La Corte di Strasburgo ancora una volta sollecita l’Italia a riconoscere il diritto alla bigenitorialità. Madre e padre, con pari dignità e identiche opportunità, devono poter esercitare il loro diritto/dovere alla responsabilità genitoriale. Non si tratta di un’enunciazione teorica ma di una buona prassi da realizzare concretamente e rapidamente, perché, spiega la Cedu, «il trascorrere del tempo può avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il fanciullo e il genitore che non vive con lui». Attenzioni del tutto disattese in Italia dove, secondo i giudici di Strasburgo, il sistema giuridico e soprattutto quello amministrativo, in particolare legato ai servizi sociali, appaiono del tutto inadeguati per garantire in modo equo e rapido i diritti dei genitori separati nei casi di conflittualità. Come per le precedenti sentenze, anche in questa occasione la Corte europea ha svolto un’analisi accurata del caso in esame.

Una vicenda complessa e dolorosa – come sempre quando sono coinvolti genitori con i loro figli – in cui si segnalano ancora una volta lentezze e disguidi. Al centro della storia Luca Costa Sanseverino, 49 anni, romano esperto di internazionalizzazione, e un figlio nato nel 2006 dal rapporto tra l’uomo e la compagna di allora. La relazione purtroppo sfuma in breve tempo e il padre fin da subito incontra difficoltà crescenti per incontrare il piccolo. Nel 2009 il primo ricorso al Tribunale per i minorenni di Roma con la richiesta di poter vedere regolarmente il bambino.

La macchina giudiziaria si mette in moto e, con i tempi e le complicazioni della giustizia italiana, tra 2010 e 2015 arrivano ben tre decreti che riconoscono la fondatezza delle richieste del padre. Il problema però, come spesso succede nei contenziosi riguardanti l’affidamento di un figlio, è come tradurre queste decisioni in più corrette modalità nel rapporto tra genitori conflittuali. E, anche in questa occasione, l’obiettivo sembra irraggiungibile. Anche perché, nel frattempo, la lite giudiziaria va avanti in un carosello di denunce, ricorsi e perizie che hanno come unico risultato quello di allontanare ancora di più il figlio da un padre che vorrebbe soltanto vederlo regolarmente e trascorrere con lui periodi ragionevoli. «Invece per quattro anni non sono riuscito a vederlo e non ho mai trascorso con lui un solo Natale», fa notare con un tono carico di amarezza Costa Sanseverino.

Da qui la decisione nel 2017 di ricorrere alla Corte di Strasburgo e infine la sentenza favorevole che potrebbe aprire – la certezza in campo giudiziario non è categoria disponibile – un nuovo capitolo in una vicenda tormentata ma tutt’altro che eccezionale. Sono infatti alcune migliaia i genitori separati che non riescono a vedere i propri figli per l’opposizione dell’ex coniuge – nonostante sentenze di affido congiunto – e una decina quelli che in questo momento hanno avviato procedimenti giudiziari presso la Corte di Strasburgo.

Casi di profonda sofferenza che sottolineano ancora una volta non soltanto l’esigenza di rivedere la legge 54 del 2006 secondo criteri di equità al di là dell’impostazione del contestatissimo ddl Pillon – ritirato dal governo e di cui in queste settimane è in corso una profonda revisione – ma anche con una prospettiva capace di ridare più efficienza e migliori capacità di intervento al sistema dei servizi sociali e di tutti quegli apparati indispensabili per accompagnare e tradurre in buone prassi il lavoro dei giudici minorili.

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