sabato 9 marzo 2019
In viaggio con un volontario per capire dove sono andati i 460 che hanno dovuto lasciare la baraccopoli. Chi vive in auto, chi in un container. E sono aiutati dai soliti volontari
Una baracca improvvisata dove vivono alcuni migranti che hanno lasciato la baraccopoli di San Ferdinando

Una baracca improvvisata dove vivono alcuni migranti che hanno lasciato la baraccopoli di San Ferdinando

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In parrocchia, in alcuni container, perfino in auto, ma soprattutto in campagna, in casolari diroccati e baracche. Ancora baracche, ma "invisibili". Qui sono andati gli "scomparsi" della baraccopoli di San Ferdinando. Quelli che non hanno accettato i trasferimenti nei Cas e negli ex Sprar, o che non hanno trovato posto nella nuova, e ormai affollatissima, tendopoli. Molti perché hanno il permesso di soggiorno per lavoro che, incredibile, non dà diritto a entrarci. In tutto gli "scomparsi" sono circa 460, dicono i dati ufficiali del ministero dell’Interno. Ma non dicono dove sono andati.

Sei sono stati ospitati per due giorni nella parrocchia di Sant'Antonio in contrada "Il bosco" di Rosarno. «Erano andati a lavorare all’alba – ci spiega il parroco don Roberto Meduri – e quando sono tornati la sera non li hanno fatti entrare nella baraccopoli perché non erano censiti. Così sono venuti qui. E altri dieci sono andati al campo container di Rosarno».

Ora quattro di loro hanno trovato una casa in affitto a Gioia Tauro. Non vogliono partire perché lavorano o sono in attesa dei documenti. Ma altri stanno molto peggio, e stanno dormendo in macchina. Per fortuna non fa molto freddo, ma non è accettabile. Nel dicembre 2013 venne trovato morto in auto il liberiano Man Addia, 31 anni. Un bracciante morto di freddo e stenti. Uno dei tanti morti di emarginazione, non solo i tre bruciati dei quali tanto si è parlato in questi giorni. Ma il numero maggiore di "scomparsi" ha raggiunto le campagne, aggiungendosi agli "invisibili" che vivono nei casolari, o andando ad occuparne di altri. Siamo andati a cercarli, accompagnati come tante altre volte da Bartolo Mercuri, "papà Africa", presidente dell’associazione "Il Cenacolo" di Maropati che da più di 20 anni è vicino concretamente ai più poveri, immigrati e italiani.

Un altro viaggio nell’emarginazione più nascosta. Cominciamo da contrada Russo Spina nel comune di Taurianova. Alcuni casolari coperti di teli di plastica, stalle e perfino porcilaie, e attorno tante baracche. Quando siamo venuti il 9 gennaio c’erano 130 immigrati, ora sono 200. «Veniamo dalla baraccopoli, molti hanno problemi di documenti» dice uno di loro mentre scarica i viveri che Bartolo ha portato. Ripartiamo verso le campagne di Rizziconi. Squilla il telefono, è Tella, chiama da un Cas di Catanzaro, dove è stato portato assieme ad altri immigrati della baraccopoli. Bartolo mette il vivavoce. «Papà voglio tornare. Qui si sta male. Non si mangia. Aiutami a trovare una casa».

«Ti aiuto, ma stai tranquillo, mi raccomando», gli risponde il volontario. Incrociamo una vecchia Panda verde. Si ferma. È Saik, 37 anni della Costa d’Avorio. E la sua è una storia a lieto fine. Viveva in una catapecchia con la famiglia, moglie e due bambine di 12 anni e 6 mesi. Ora, dopo la segnalazione di Bartolo, sono a Siderno, sullo Jonio, grazie all’ospitalità della diocesi di Locri-Gerace. Lui ha un contratto di lavoro di sei mesi e per cinque giorni torna qui, mentre nel fine settimana raggiunge la famiglia. Proprio come un normale lavoratore, quello che è. «Sono molto contento, stiamo benissimo», dice con un grande sorriso.

Gli chiediamo se in questi giorni sono arrivati immigrati della baraccopoli. «Sì, tanti. Sono laggiù e là dietro – indica – ma ora non ci sono perché lavorano». Ancora una volta la conferma del perché in tanti non hanno accettato il trasferimento. Lo salutiamo perché anche lui deve andare a lavorare, «oggi devo potare», e riprendiamo il viaggio. Torna a squillare il cellulare di Bartolo. È una parrocchia di Delianuova che avverte che hanno portato un furgone di pasta alla sede del "Cenacolo". «La Provvidenza non è mai mancata – riflette Bartolo –. Vedi come abbonda la Grazia. E in questi giorni c’è ancora più bisogno». Infatti la sua macchina piena di pasta, barattoli di pelati e piselli, zucchero, che scarica a ogni tappa del nostro giro.

Cambiamo zona. Andiamo più lontano, al confine tra le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia. Nel primo casolare c’è solo un immigrato. Ci spiega che più avanti ci sono altre catapecchie occupate da chi viene dalla baraccopoli. Ne raggiungiamo una. È chiusa ma da una finestra, senza infissi, si vedono dei poveri giacigli. Fuori alcuni passeggini. No, non ci sono bambini ma servono per trasportare da molto lontano le taniche dell’acqua perché ovviamente nella casetta non c’è, così come non c’è elettricità. Scarichiamo e lasciamo gli ultimi viveri. «In questi mesi mi ero occupato molto della baraccopoli, ora dovrò tornare a girare». Sono davvero tanti gli "scomparsi", basta andarli a cercare. Ma ancora una volta lo fanno solo i volontari. Il dopo sgombero della baraccopoli è tutte sulle loro spalle generose.



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