domenica 20 gennaio 2019
Nel 1939 ai margini della città sorse il Villaggio Dall’Oca Bianca, abitato da centinaia di derelitti senza lavoro e senza legge. Decenni dopo a furor di popolo vi è stato eretto un nuovo tempio
L'inaugurazione della nuova chiesa

L'inaugurazione della nuova chiesa

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I “Sassi” di Verona, come a Matera. Altrettanto belli e altrettanto feroci: nelle mura merlate della città scaligera, a un pugno di chilometri dal balcone di Giulietta, negli anni Trenta centinaia di famiglie vivevano in anfratti e cavità, tetri locali dove neppure i soldati delle antiche guarnigioni si sarebbero adattati. Un’umanità dolente che l’abbrutimento, la miseria e il degrado condannarono a vivere di delinquenza. Finché per dare un tetto a questa gente nel 1939, in un solo anno, ai margini della città venne costruito con fondi pubblici il “Villaggio Dall’Oca Bianca”, un intero quartiere di basse casette dotate di tutto, dai servizi igienici tipo “turca” ai tegami, dal mobilio a un fazzoletto di terra per coltivare l’orto.

Dall'inferno alla “chiesa della Luce”

«Costarono la bellezza di un milione e mezzo di lire e furono un’opera meritoria, quei poveretti lasciavano le tane e tornavano alla luce, ma qui con il loro arrivo divenne il Bronx di Verona: letti e tavoli erano stati fissati con bulloni ai pavimenti perché non se li rivendessero... – raccontano gli abitanti del Villaggio Dall’Oca Bianca oggi –. Anni or sono, nessuna persona per bene osava inoltrarsi tra le casette». E proprio qui, nel Villaggio ribattezzato Borgo Nuovo, è stata appena inaugurata una delle chiese più ardite e innovative, eretta nel punto esatto in cui sorgeva la chiesa vecchia, ormai minata da seri problemi strutturali e insufficiente per un rione in rapida espansione. È la chiesa della Beata Vergine Maria ma la gente la chiama già “la chiesa della Luce”.

Abbattimento deciso con un referendum

«L’abbiamo voluta a furor di popolo», dicono i parrocchiani, che nel 2004 indissero persino un referendum sulla demolizione del vecchio edificio: «Votammo in tantissimi e l’80 per cento si espresse per l’abbattimento», ricorda Tiberio Delaini, 82 anni, memoria storica del borgo in cui risiede da mezzo secolo, «malgrado ciò tutti avevano nel cuore la chiesa in cui avevano preso i sacramenti da ragazzini, si erano sposati, avevano battezzato i figli. Quando fu demolita, nel 2014, la folla guardava in silenzio». «Fu un trauma, non s’è mai sentito che si abbatte una chiesa, piuttosto la si restaura», spiega don Giorgio Fainelli, parroco dal 2012. Ma come nella Brescello di Guareschi (dove l’edicola della Madonna viene inglobata nella Casa del Popolo perché nessuno si sogna di abbatterla) «così noi abbiamo mantenuto nella nuova chiesa gli elementi fondamentali della vecchia», ovvero il rosone, le vetrate artistiche, le campane e una statua della Beata Vergine cui la gente era da sempre devota.

Un concorso per ricostruire

Preso atto della volontà popolare, nel 2007 la curia aveva indetto un concorso e due architetti veronesi, Carlo Ferrari e Alberto Pontiroli, se lo sono aggiudicato con un progetto ambizioso. «La sfida – raccontano oggi – era rileggere con una grammatica innovativa l’anima di un quartiere così particolare. Lo stile è totalmente in sintonia con lo spirito autentico del borgo, le linee sono semplici ma anche eleganti e la navata principale si presenta come un grande spazio basilicale, dove altissime quinte in legno scolpite dalla luce avvolgono in un abbraccio chi entra e lo conducono verso il trascendente».

Un «faro» per la comunità

«Un faro» l’ha definita il vescovo Giuseppe Zenti il giorno dell’inaugurazione, dopo quattro anni di cantiere, «un simbolo luminoso di rinascita per tutto il quartiere». «Abbiamo lavorato molto con la luce – confermano Ferrari e Pontiroli –, utilizzata come vero e proprio materiale di costruzione al pari della pietra, del legno e del cemento. Tradizione e modernità collaborano, rispettando le esigenze del rito grazie alla consulenza del liturgista don Franco Magnani». Nell’interno, maestoso, architettura e spiritualità trovano perfetta fusione: «Non dobbiamo mai dimenticare che lo scopo dell’architettura sacra è offrire lo spazio perché i fedeli, pietre vive nel tempio, celebrino i misteri della fede, in particolare l’Eucarestia. Basta con le chiese simili ad hangar o brutte come palestre, abbiamo giocato sulle altezze e creato una struttura di grande respiro, capace di modificare l’intera vita di Borgo Nuovo».

Quartiere aperto alle giovani famiglie

Accanto alla chiesa, infatti, sono nati anche gli spazi da sempre mancati alla parrocchia, dalle sale per il catechismo, per le attività musicali e gli incontri con le famiglie, al salone per i pranzi comunitari. E la vita sta cambiando davvero, assicura don Giorgio, perché i fedeli sono tornati sempre più numerosi e i 325 posti a sedere sono spesso occupati (alla Messa solenne nel giorno dell’inaugurazione a gremire le navate erano in 1.200, «non si chiudevano le porte»). Se il centro storico della città allontana le giovani coppie, il Villaggio Dall’Oca Bianca offre prezzi abbordabili e apre alle nuove famiglie, tanto che nel 2018 nella struttura temporanea sono stati battezzati 36 bambini «e finalmente potremo celebrare i tanti matrimoni». Nell’ex Bronx di Verona le casette del ’39 sono sparite da tempo, soppiantate dai condomìni. Solo qualche esemplare è stato risparmiato per conservare la memoria e oggi ospita associazioni di Alpini o Donatori di sangue... Nulla resta di quel popolo derelitto, se non negli album di foto in bianco e nero di qualche discendente. Ma di fronte al campanile (alto trenta metri per emergere in altezza sui nuovi palazzi) nei giardini della piazza centrale è tuttora sepolto Angelo Dall’Oca Bianca, fondatore del Villaggio e benefattore, il cui busto continua a vegliare sul passato e sul presente. Pittore di fama internazionale, dipinse un’“Ave Maria” e con i soldi della vendita donò le 80mila lire per costruire le prime dodici casette. In seguito nominò il Comune di Verona erede universale del suo patrimonio a favore dei senzatetto del rione che porta il suo nome. «Morì nel 1942, tre anni dopo l’apertura del Villaggio», si commuove Tiberio Delaini, «ma continuò a lungo a fare del bene, perché le migliaia di quadri e disegni fruttarono decine di milioni per i poveri». Ancora oggi, a quasi 80 anni dalla morte, ogni anno tre anziani della sua parrocchia vivono grazie ai suoi sussidi.

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