martedì 3 ottobre 2023
Sette mesi dopo, non ha avuto seguito il progetto di garantire vie d’ingresso agevolate ai parenti delle vittime del naufragio. Il nodo dei mancati nullaosta da parte delle prefetture
Le croci sul luogo del naufragio a Steccato di Cutro: le ricerche dei migranti sono andate avanti per settimane

Le croci sul luogo del naufragio a Steccato di Cutro: le ricerche dei migranti sono andate avanti per settimane - ANSA

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Ricongiungimento e corridoi umanitari, promesse e delusioni miste ad amarezza e dolore. Sette mesi dopo la strage di Cutro, quando un caicco salpato dalla Turchia con a bordo circa 200 persone si è spezzato in due a una cinquantina di metri dalla spiaggia della località Steccato, lungo quella costa crotonese che duemila e ottocento anni fa accolse migliaia di coloni greci, gli ottantuno superstiti aspettano e sperano siano mantenute le promesse che, raccontano, sono state fatte loro quando sono stati invitati a Palazzo Chigi dalla premier Giorgia Meloni.

In quella occasione s’è parlato di ricongiungimento familiare, alimentando comprensibili speranze, tant’è che successivamente furono anche convocati in Questura a Crotone per elencare i parenti che avrebbero voluto abbracciare sul suolo italiano che li aveva accolti dopo quel disastro, secondo molti annunciato e soprattutto evitabile. Tra l’altro il numero delle richieste calò rispetto alla prima fase, poiché una cinquantina di sopravvissuti chiese e ottenne d’essere trasferito in Germania. A loro, a differenza di quanti invece sono rimasti in Italia, affidati alle associazioni del territorio, è andata meglio.

Notti e giorni dopo le drammatiche ore tra il 25 e il 26 febbraio, però, non c’è traccia d’alcun ricongiungimento, con superstiti e familiari delle vittime preoccupati e amareggiati di subire la beffa della promessa non mantenuta, dopo il danno del naufragio.

«Siamo in contatto continuo con i familiari delle vittime che ci chiedono informazioni su quanto è stato promesso loro in occasione della visita a Palazzo Chigi, cioè dei corridoi umanitari utili a portarli nel nostro Paese. Si tratta d’un canale meno complicato e più praticabile rispetto ai ricongiungimenti», racconta ad Avvenire Manuelita Scigliano dell’associazione “Sabir”, che è stata tra le più impegnate al fianco di superstiti e congiunti dopo il dramma, protagonista anche della grande manifestazione nazionale “Fermiamo la strage subito” svoltasi proprio a Cutro l’11 marzo e conclusa sulla spiaggia di Steccato tra i resti del caicco e i fiori e i giocattoli lasciati in memoria delle vittime che lo Jonio ha continuato a restituire per settimane.

«Non sappiamo neanche cosa rispondere alle loro domande. Ci auguriamo siano mantenute le promesse». Situazione simile, racconta la volontaria, per i due o tre ragazzi sopravvissuti a quella notte e accolti da progetti Sai nel Crotonese. «È vero – insiste Manuelita Scigliano - che la maggiore parte dei familiari non è in Italia, ma non lo era nemmeno quando è andata a Roma, dove in molti accettarono d’essere presenti anche per chiedere che continuassero le ricerche in mare».

Questa ingarbugliata matassa burocratica è seguita da vicino anche dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, l’Asgi, con l’avvocato Lidia Vicchio che spiega: «Alcuni dei sopravvissuti non hanno nemmeno completato l’iter per il riconoscimento dello status, che ha un ruolo determinante per un eventuale ricongiungimento. Sappiamo che la prefettura di Crotone sta valutando con attenzione l’ipotesi, ma non mancano perplessità».

L’avvocato Vicchio sottolinea che la matassa è ulteriormente ingarbugliata dall’instabilità politica in Pakistan, poiché per muoversi serve il passaporto che in queste condizioni non è facile avere da uno Stato che da sempre fa i conti con una burocrazia complicata.

Sul nodo dei ricon giungimenti, la Farnesina ha sottolineato, nelle scorse settimane, che il blocco su visti e ulteriori riconoscimenti ai familiari delle vittime è dovuto ai mancati nullaosta delle prefetture. Burocrazia pignola, complicazioni in punta di diritto, scelte politiche, dunque. Tutto legittimo, ma sotto il loro peso restano schiacciati diritti e speranze di donne e uomini già più volte gravemente feriti dalla vita.


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