sabato 9 febbraio 2019
Le parole di Mattarella davanti agli esuli istriani, fiumani e dalmati, alla presenza dei presidenti della Camera, del Senato, del Consiglio e della Corte Costituzionale, di ministri e parlamentari.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella rivolge il suo indirizzo di saluto in occasione della celebrazione del "Giorno del Ricordo" (Ansa/Quirinale)

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella rivolge il suo indirizzo di saluto in occasione della celebrazione del "Giorno del Ricordo" (Ansa/Quirinale)

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«Mentre sul territorio italiano la conclusione del conflitto contro i nazifascisti sanciva la fine dell’oppressione e il graduale ritorno alla libertà, un destino di ulteriore sofferenza attendeva gli italiani nelle zone occupate dalle truppe jugoslave…». Quirinale, Giorno del Ricordo 2019. Alla presenza degli esuli istriani, fiumani e dalmati, oltre che dei presidenti della Camera, del Senato, del Consiglio e della Corte Costituzionale, di ministri e parlamentari, le parole di Sergio Mattarella calano con il peso dell’autorevolezza e del rigore. Mentre il resto d’Italia festeggiava il suo 25 aprile, dunque, le nostre regioni nord orientali non conoscevano liberatori, ma nuovi e peggiori oppressori. E allora «celebrare il Giorno del Ricordo – sottolinea il capo dello Stato – significa rivivere un capitolo buio della storia nazionale e internazionale», non un fatto regionale o persino locale come è stato definito giorni fa da frange riduzioniste… Crudo il parallelo tracciato da Mattarella: il destino degli italiani giuliano-dalmati è «comune a molti popoli dell’Est europeo: quello di passare direttamente dall’oppressione nazista a quella comunista. E sperimentare sulla propria vita tutto il repertorio disumanizzante dei totalitarismi del ‘900, diversi nell’ideologia, ma così simili nei metodi di persecuzione, repressione, eliminazione dei dissidenti».

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Ad ascoltarlo, accanto agli ambasciatori di Slovenia, Croazia e Montenegro, testimoni di un mondo ormai cambiato, i protagonisti diretti della tragedia, che ancora oggi devono subire l’oltraggio del negazionismo o l’accusa, da parte di chi non conosce la storia, di aver «occupato» l’Istria. Mattarella però non ammette ambiguità: gli italiani «erano da sempre lì residenti», e le vendette e le uccisioni non furono «come qualche storico negazionista o riduzionista ha provato a insinuare, una ritorsione contro i torti del fascismo», perché le vittime di un odio «comunque intollerabile», «ideologico, etnico e sociale insieme», erano persone che «nulla avevano a che fare con i fascisti». Impiegati, sacerdoti, insegnanti, militari, partigiani, «persino militanti comunisti», furono gettati vivi o morti nelle Foibe ed eliminati nei campi di detenzione in quanto «ostacolo al disegno di conquista territoriale e di egemonia del comunismo titoista».

Verso il quale gli Alleati mostravano «condiscendenza», al punto che l’Occidente «finì per guardare con un certo favore al regime del maresciallo Tito», calando «sugli orrori commessi contro gli italiani una ingiustificabile cortina di silenzio», e agli esuli fu precluso anche il conforto della memoria. Oggi però una coraggiosa opera di ricerca storica ha ormai fatto «piena luce sulla tragedia delle Foibe e dell’esodo», nonostante residuali «inaccettabili tentativi di delegittimazione».

Alla ricostruzione della verità ha contribuito l’impegno dignitoso e pacifico degli esuli stessi, ricorda Antonio Ballarin, presidente di Federesuli: «Le nostre associazioni da anni lavorano a favore di una Memoria che sia in grado di costruire un’etica di pace e verità, facendo comprendere il vero animo della nostra gente, amante appassionata della terra alla quale appartiene». Grazie a questo lavoro paziente, mesi fa è stato possibile recuperare in Croazia, a Castua, alcune salme da una fossa comune e dare loro sepoltura: «Non possiamo che ringraziare le Istituzioni croate e slovene e italiane che hanno permesso un atto di giustizia e dimostrato un alto senso di civiltà, ma non basta». Migliaia di nostri morti giacciono sul fondo di una Foiba e «crimini come la strage di Vergarolla», primo attentato terroristico della Repubblica italiana (100 morti sulla spiaggia di Pola il 18 agosto 1946) attendono che «una Commissione parlamentare di inchiesta faccia piena luce».

Lo auspica anche lo storico Giuseppe Parlato, che ne fa un discorso di metodo: «La storia deve diventare protagonista», non è più sufficiente che siano i superstiti a raccontare, «la storia ha bisogno di altro, che gli archivi si aprano anche all’estero, che gli strumenti della metodologia di ricerca si mettano a disposizione di questa immane tragedia, anche grazie alle Istituzioni dello Stato… Quando anche i discendenti degli esuli saranno scomparsi, e con loro quel pathos che ci hanno fortunatamente tramandato, che cosa resterà della memoria se la storia non avrà fatto la sua parte?».

Giuseppe de Vergottini, emerito di Diritto Costituzionale e presidente del Coordinamento Adriatico, ha ricordato che solo la storia può mettere a tacere «l’incredibile presenza di negazionisti: nel 2006 il ministero degli Esteri sloveno ha diffuso l’elenco di 1.048 deportati dalla sola piccola Gorizia. Sono un falso, questi nomi? Se a questi aggiungiamo gli scomparsi a Pola, Fiume, Zara e tutta l’Istria arriviamo alle migliaia di uccisi».

Gli abomini patiti dai giuliano dalmati siano di monito, conclude Antonio Ballarin, affinché i diritti umani vengano rispettati, «anche se alcuni dei nostri attendono di esserlo da 70 anni». Un appello che il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, traduce in promessa solenne: «Lo dobbiamo ai nostri compatrioti, mi impegno per risolvere concretamente e prima possibile le questioni che ancora, da 70 anni, richiedono soluzione».

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