giovedì 22 luglio 2010
La crisi infierisce sui soliti deboli: famiglie numerose, operai, giovani e immigrati. Lo rivela la Commissione d'indagine sull'esclusione sociale. Oggi tre milioni di persone non hano i soldi per i beni essenziali. Brusca frenata nei processi di integrazione degli stranieri.
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La crisi ha selezionato i suoi bersagli con cinismo, trascinandoli ai margini della società: sono i giovani, gli operai, le famiglie numerose, gli immigrati. E i bambini, come sempre. Categorie che erano deboli anche prima del sisma finanziario, con il risultato che il Belpaese, nel 2009, non registra rispetto all’anno precedente un aumento del numero complessivo dei poveri, quanto un netto peggioramento delle condizioni di coloro che già erano indigenti o barcollavano. Nel tirare le somme della situazione italiana, la Commissione di indagine sull’esclusione sociale - a fine mandato - guarda preoccupata al futuro: «Finora cassa integrazione e welfare familiare hanno retto l’urto e salvato il ceto medio, ma cosa succederà quando gli ammortizzatori si esauriranno?». Gli esperti propongono - senza l’entusiasmo del ministero del Lavoro - l’istituzione del reddito minimo.Intanto, fuori dalla logica dei più e dei meno, restano i numeri assoluti, che continuano a gridare vendetta: 2milioni 650mila famiglie vivono con meno di mille euro al mese, ovvero 7milioni 810mila persone, il 13 per cento della popolazione. Più di 3 milioni di individui (oltre il 5 per cento del Paese) sono "poveri poveri", che non hanno i soldi per i beni essenziali. E in una casa su sei c’è la paura di non poter sostenere una spesa improvvisa, oppure si resta indietro nei pagamenti. Sono dati nazionali che, come al solito, hanno i picchi più bassi al Nord e raggiungono apici al Sud, dove una famiglia ogni quattro è a rischio di esclusione sociale.In due anni l’Italia - con in testa, ancora una volta, il Meridione - ha perso 600mila posti di lavoro (meno 2,4 per cento rispetto al primo trimestre del 2008). Ma per i lavoratori tra i 20 e i 34 anni il tracollo è stato del 6,3 per cento, mentre per gli over 40 si è assistito addirittura ad una piccola risalita. La conseguenza: tra i 20 e i 44 anni ci sono i più alti aumenti del tasso di povertà. «Il governo – spiega la commissione – con la Cig ha tutelato i padri», e i figli per mettersi al riparo si sono appoggiati al nido familiare. Una soluzione «positiva nel breve termine», dicono gli esperti, ma ora occorre riaprire il mercato del lavoro. Rispetto a questo trend, però, fa eccezione il Sud, dove la cassa integrazione è stata meno utilizzata e il peso è caduto sui capifamiglia. Il 2009 è stato anche l’anno in cui si è depressa l’occupazione degli immigrati (meno 2,5 per cento rispetto al 2008), con una brusca interruzione dei processi d’integrazione. Quando non c’è il guscio familiare, l’assenza di lavoro si trasforma in pochi mesi in indigenza e marginalizzazione.Passa dal 5,9 al 6,9 per cento il tasso di povertà delle famiglie operaie. Incidono la drastica diminuzione delle ore lavorate, i licenziamenti delle piccole imprese specie del Centro e del Sud, la riduzione del reddito quando si entra in regime Cig. Ma il discrimine più pesante resta l’ampiezza della famiglia: il 25 per cento di famiglie con 5 o più componenti sono povere. Detto in modo più chiaro: ci sono 1 milione 750mila bambini che vivono in abitazioni fatiscenti, dove non ci si può permettere il riscaldamento, dove ogni due giorni pranzare è una scommessa con la Provvidenza.
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