lunedì 15 aprile 2013
​Si chiude la vicenda giudiziaria del ventenne di Montecchia di Crosara che nel 1991 uccise i genitori per avere la sua parte di eredità. Condannato a trent'anni ottenne la semilibertà nel 2008 Buona condotta e indulto hanno ridotto la pena. In carcere anche un percorso di riavvicinamento alla fede.
IL COMMENTO Per la società e per lui la sfida della vera libertà di Marco Pozza
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​Lunedì uscirà dal carcere da uomo libero che ha scontato la sua pena. Ha 41 anni Pietro Maso: il 17 aprile 1991 uccise i genitori Rosa Tessari e Antonio Maso, a Montecchia di Crosara (Verona), con l’aiuto di tre amici. Un duplice omicidio che scioccò il Paese, commesso per l’eredità. Venne condannato a trent’anni (trascorsi in carcere fino all’ottobre 2008, quando gli concessero la semilibertà), poi ridotti grazie all’indulto e agli sconti per buona condotta.Nel 2010 si è sposato con Stefania. Lavora in una ditta d’informatica. Già dopodomani uscirà il suo libro, scritto con una giornalista, sulla sua vita. Aveva vent’anni nel 1991, era abituato al lusso e agli eccessi. Da domani «sarà un cittadino come tutti gli altri e come tale andrà considerato», fa sapere il magistrato di sorveglianza che ha firmato la sua "fine pena", Roberta Cossia: «Mi stupisco ci siano ancora polemiche quando un condannato per un fatto comunque atroce ha scontato la sua pena e torna in libertà». La ragione, ritiene il giudice, è che in molti «c’è ancora un’idea sotterranea vendicativa, di restituzione dello stesso male che uno ha fatto, come se lo Stato si dovesse porre sullo stesso piano». Tanto più che la strada seguita da Pietro Maso, passata attraverso il pentimento e l’avvicinamento alla religione, è stata «complessivamente positiva – conclude la Cossia –. Si è fermato a pensare e ha accettato di fare un percorso di revisione, di meditazione».In un’intervista a don Guido Todeschini di Telepace le sorelle maggiori di Pietro Maso, Laura e Nadia, lo perdonarono: «Con i genitori avevamo perso anche un fratello – spiegò Laura – e ci trovammo a ricominciare un percorso nuovo, perché non è facile perdonare una cosa così grave. Ringraziamo don Guido: è stato lui ad andare a trovare per primo Pietro in carcere e a seguirlo». Sarebbe stato «facile abbandonarlo – continuò –. Perdonare è più profondo e difficile, ma ci ha anche procurato una gioia per i passi che vedevamo fare a nostro fratello, il suo cammino, la conversione».
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