mercoledì 31 gennaio 2024
A preoccupare di più è il mancato coinvolgimento di chi da sempre conosce i popoli del continente, nei luoghi di missione e di frontiera. L’auspicio che ora cresca davvero una collaborazione dal basso
I leader al vertice di Roma

I leader al vertice di Roma - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

«Bene che si parli di cooperazione con l’Africa, ma non fermiamoci agli slogan». Il giorno dopo il vertice voluto dal governo italiano, con l’obiettivo dichiarato di sostenere lo sviluppo delle popolazioni africane contribuendo anche a frenare i flussi migratori, la Chiesa missionaria e il volontariato internazionale si interrogano sulla reale portata delle novità emerse e l’impressione è che alla fine l’incontro di Roma abbia fatto emergere più ombre che luci. Secondo padre Fabio Motta, vicario generale del Pime, Pontificio istituto missioni estere, per nove anni missionario in Guinea Bissau, la strada da compiere perché l’Africa diventi davvero protagonista, nei rapporti con l’Italia e con l’Europa, è ancora lunga. «È bella l’immagine ricordata dal presidente Sergio Mattarella con il proverbio africano: “Se vuoi vincere, corri da solo; se vuoi andare lontano cammina insieme”. È questo lo spirito giusto per affrontare il tema. Se, come dice la premier, si vuole inaugurare un nuovo “approccio di sistema” nella cooperazione con l’Africa, credo che non si possa prescindere proprio da un vero dialogo partecipativo dove le parti in gioco siano coinvolte fin dalla genesi dei progetti di sviluppo - osserva padre Fabio Motta -. In questo dialogo, oltre ai Paesi africani in primis, credo sia importante includere anche le voci del mondo missionario e delle Ong impegnate direttamente nella cooperazione. Si tratta di un approccio “dal basso”, a partire dai reali bisogni delle popolazioni presso le quali vivono». Proprio da quel mondo, infatti arrivano « esempi “virtuosi”, non paternalisti e non predatori, che possono fungere da “laboratorio” di pensiero viste le esperienze sul campo». I missionari italiani mirano proprio ad essere, per parafrasare il titolo del vertice Italia-Africa, «ponti per la crescita integrale delle comunità in cui vivono».

Al di là dei protocolli ufficiali, la preoccupazione è che in materia di investimenti, «non si parli di progetti fuori dalla portata dei rispettivi Paesi ma che venga considerata previamente la loro sostenibilità e compatibilità con la realtà culturale e sociale in cui andranno a collocarsi». Visitando diversi Paesi africani, è il racconto dei missionari del Pime, «si notano diversi esempi di ciò che non è bene fare, di progetti “fuori misura” e comandati da lontano». Anche il mondo dell’associazionismo, della società civile, delle Ong e del Terzo settore fa capire che sono più le lacune presenti nel piano che le cose positive. In particolare, si stigmatizza l’assenza dei veri soggetti protagonisti della cooperazione dalla stesura del piano, non solo per la mancata “convocazione” al vertice voluto e organizzato da Palazzo Chigi. Un esempio chiaro viene dalla presa di posizione di Nigrizia, il mensile dei missionari comboniani che, nel suo ultimo numero titola in modo emblematico “Nessuna svolta per l’Africa”.

Sul sito si ricorda in particolare che «le modalità per rendere più efficace e veramente paritario il piano, come nelle intenzioni del governo italiano, almeno sulla carta, in realtà c’erano. Ad esempio, quella di consultare l’Ua (l’Unione africana, ndr) e la società civile del continente nella fase di elaborazione dell’iniziativa. Dinamica che però non si è verificata, come denunciato nel suo discorso dal presidente della commissione dell’Unione Faki Mahamat, che fra le altre cose ha detto che l’organismo regionale “avrebbe preferito essere consultato prima” dell’incontro». E come richiesto nei giorni scorsi anche da 79 Ong di base nel continente, coordinate dall’organizzazione Don’t Gas Africa, aggiunge l’organo delle missioni africane. «In una lettera alle massime cariche dello stato italiano, le realtà della società civile africana hanno appunto lamentato di non essere state coinvolte e hanno espresso tutti i loro timori sui possibili effetti del piano a livello di contrasto nella crisi climatica, presentando un appello in sette punti per una giusta transizione energetica. Il Piano Mattei, stando a quanto affermato da Meloni, conta fra le sue priorità la trasformazione dell’Italia in uno hub per l’approvvigionamento energetico di tutta l’Europa. Non è ancora chiaro però se si parla di energie rinnovabili o di combustibili fossili. Quanto emerso ieri non sembra aver dissipato i dubbi della società civile».

Anche la Ong Interlife, presente in Africa con diversi progetti umanitari, non nasconde la delusione. «È grave che il Governo abbia escluso il terzo settore e la società civile quando sono da sempre i soggetti effettivamente impegnati per lo sviluppo del continente africano» dichiara Giorgia Gambini, Presidente di Interlife. «Trovo inaccettabile che a livello istituzionale si abbia ancora una visione limitata e limitante della cooperazione internazionale, vista come mera carità e non si sia invece abbastanza informati da sapere che esistono modelli e progetti 100% italiani in grado di dare risultati sorprendenti in termini di crescita sociale ed economica». «Il nostro modello di sviluppo – sottolinea –è capace di creare un valore economico e sociale reale, attraverso concrete opportunità di lavoro» conclude la presidente della onlus.

Secondo don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, «finalmente si parla di Africa – esordisce –, tema da tre anni assente per la guerra in Ucraina e altre crisi internazionali». Positivo che «si faccia squadra anche con l’Europa», ma «la vera sfida sarà adesso quella di quantificare e concretizzare il piano – aggiunge – scongiurando una cooperazione dall’alto al basso: al contrario serve infatti che la società civile metta a disposizione quel patrimonio nato dal campo. Le Ong conoscono la realtà e le comunità e sanno come partire dal basso». Quest’Africa va aiutata in modo corretto, sottolinea don Dante: « le Ong diventano importanti quando questi soldi diventano progetti concreti».

«Da quello che al momento si sa, il piano Mattei pone un focus sull’Africa in un’ottica di partenariato paritario, puntando sulla formazione professionale e lo sviluppo sociale ed economico – sottolinea Michela Vallarino, presidente della Ong salesiana VIS – Questi sembrano aspetti positivi. L’elemento critico sembrano le risorse finanziarie, che non dovranno essere sottratte a quelle già esigue destinate alla cooperazione allo sviluppo, che già da decenni lavora nell’ottica della formazione e dello sviluppo in Africa. Bisognerà capire se l’approccio sarà davvero focalizzato sulle persone in un’ottica di promozione dei diritti per uno sviluppo davvero sostenibile, diritti tra cui c’è anche quello di migrare».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: