martedì 26 agosto 2014
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A Rochester, nel Minnesota, c’è una statua scolpita in Trentino. Raffigura Ricardo Pampuri, il medico santo, nell’atto di ricevere un malato. C’è una storia, all’origine della statua, e da quella storia tante ne derivano. A raccontarle davanti al popolo del Meeting è padre Gerald Mahon, che di quella chiesa nel Minnesota è parroco. Saint John the Evangelist sorge a pochi passi dalla Mayo Clinic, centro di eccellenza al quale si rivolgono pazienti da tutti gli Stati Uniti. Molti, su invito di father Jerry, passano lunghe ore in preghiera davanti a san Riccardo. Joe, per esempio, al quale i medici non erano riusciti a estirpare del tutto il tumore al cervello. Del male, ai controlli successivi, non restava traccia. Gli specialisti erano sorpresi, il sacerdote un po’ meno. Nel 1999 era successo anche a lui: la diagnosi di cancro, l’affidamento totale, la remissione inspiegabile. A esortarlo alla preghiera, allora, era stato lo stesso don Giussani. E sì, anche la statua è un dono del fondatore di Comunione e Liberazione.Avvio impegnativo, ieri, per testimonianze che in questi giorni illumineranno da prospettive diverse il tema del Meeting, al quale lo scienziato e teologo ortodosso ucraino Aleksandr Filonenko ha dedicato ieri un intervento memorabile, tra annuncio del Vangelo e dramma della storia: “Verso le periferie del mondo e dell’esistenza. Il destino non ha lasciato solo l’uomo”. Non lo ha abbandonato nel Majdan di Kiev, né negli orfanotrofi statali dove Filonenko e i volontari dell’associazione Emmaus svolgono la loro attività. E non lo ha abbandonato nelle corsie d’ospedale che Marta Scorsetti ha percorso per la prima volta da studentessa, quando già aveva deciso di consacrare la sua vita nei Memores Domini. «Finalmente una bella ragazza di vent’anni che si dona a Cristo, perché Cristo lo merita», aveva detto don Giussani nell’apprendere la decisione. «Fatti amare da lui e basta», aveva aggiunto. Così è stato. La dottoressa Scorsetti, oggi è responsabile dell’unità operativa di Radioterapia all’Humanitas di Milano, per molto tempo ha lavorato all’Istituto dei Tumori. «Il mio studio si trovava due piani sottoterra – ricorda – e solo la sera, quando uscivo, rivedevo il cielo. Tutte le domande andavano lassù. Ci vanno ancora, perché il mio dialogo con Cristo è continuo e, a volte, molto acceso. Proprio per questo è sempre bellissimo». Anche Marta ha storie da raccontare. Storie sue, storie dei suoi pazienti. La donna di 36 anni, incontrata una sola volta. Infermiera, un figlio disabile, confessa di aver capito che cos’è la malattia solo dopo esserne stata colpita. «Solo che tutti adesso mi mettono in una scatola», dice e intanto fa quel gesto che Marta non ha mai dimenticato, le mani che si muovono veloci a disegnare uno spazio chiuso. Rompere l’isolamento, restituire la meraviglia dell’attesa, convincere ogni paziente che «l’uomo è più della sua malattia», come recita il titolo dell’incontro moderato da Letizia Bardazzi, presidente dell’Associazione Italiana Centri Culturali. «Sei più del tuo male» è una frase che Marta Scorsetti ha ripetuto più volte, specie a chi le chiedeva “la puntura” capace di mettere fine a ogni sofferenza. Roberto, anche lui a metà dei trent’anni, due genitori anziani che se la prendono con Dio perché Dio, al posto del figlio, poteva prendersi loro. Alla fine si confessano tutti e Roberto se ne va in pace, certo di essere amato e voluto, come voluto e amato è ciascuno di noi, in ogni momento della sua vita.«Le periferie dell’esistenza sono sempre qui, vicine», commenta padre Mahon, anche se a volte bisogna andare lontano per accorgersene. Un suo amico non credente, John, ha ritrovato se stesso tra i poveri di New Delhi, dove ha fondato un’organizzazione che strappa all’ignoranza i bambini delle baraccopoli. «Cristo lavora attraverso di lui - commenta il sacerdote americano -, anche se lui non conosce Cristo». Le periferie sono molte. Il centro, però, è sempre lo stesso.
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