martedì 9 aprile 2024
I risultati di un nuovo studio dell'Ieo di Milano pongono le basi per una cura combinata efficace contro il più temibile dei “big killer”. Più vicino anche lo sviluppo di un vaccino terapeutico
Cancro del pancreas: effetti sorprendenti da farmaco mirato più immunoterapia
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E se la soluzione per curare il cancro del pancreas si celasse nella sinora sconosciuta sinergia tra due farmaci? Meglio ancora, tra un farmaco già in commercio e l’immunoterapia? È la tesi seguita dai ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) di Milano, che ha portato ad «effetti sorprendenti», appena descritti su Sciences Advances. In sostanza, il gruppo di ricerca coordinato da Gioacchino Natoli ha scoperto il meccanismo molecolare per cui due terapie usate per questa malattia - che, entro il 2030, diventerà la seconda causa di morte per cancro - singolarmente sono poco efficaci ma, se combinate, hanno dimostrato nei modelli preclinici di poter acquisire un controllo efficace del tumore: si tratta del trametinib associato a immunoterapia.

Dunque, la sorprendente e ormai leggendaria resistenza del cancro del pancreas potrebbe presto vacillare. Contro questo autentico “big killer”, il cui tasso di sopravvivenza a dieci anni è rimasto invariato nell’ultimo mezzo secolo, la scienza - con l’Italia in testa - ha intrapreso una poderosa offensiva che finalmente inizia a dare frutti significativi. Solo 20 giorni fa, sempre l’Ieo, in collaborazione con altri due prestigiosi centri di ricerca milanesi, l’Istituto Humanitas e l’Istituto Fondazione di Oncologia molecolare (Ifom), e ancora con il sostegno della Fondazione Airc, aveva pubblicato su Cancer Cell uno studio che ha portato a identificare e caratterizzare nei dettagli la profonda eterogeneità di ogni singolo carcinoma del pancreas analizzato, rivelando così come proprio questa eterogeneità contribuisca in maniera sostanziale all’inefficacia dei trattamenti esistenti, e disegnando possibili nuovi approcci terapeutici anche con l’ausilio dell’intelligenza artificiale.

Oggi arriva un passo avanti ulteriore contro una patologia che è caratterizzata da un insieme di mutazioni del Dna molto ben definite, come quella del gene Kras. Contro tali mutazioni sono stati sperimentati alcuni farmaci a bersaglio molecolare che non hanno finora prodotto i risultati terapeutici attesi. Da qui la necessità di spingersi oltre. «Abbiamo utilizzato procedure avanzate di analisi genomica e computazionale - spiega Natoli - per determinare le ragioni della resistenza delle cellule di carcinoma del pancreas al trametinib. Questa analisi ha mostrato un effetto sorprendente: anche se il trametinib non rallenta significativamente la crescita delle cellule tumorali, attiva però dei meccanismi che possono renderle bersaglio di una risposta immunitaria. Sulla base di questi dati, in collaborazione con il gruppo di Andrea Viale dell’MD Anderson Cancer Center di Houston, abbiamo valutato in modelli preclinici l’effetto terapeutico della combinazione del trametinib con farmaci che aumentano la risposta immunitaria contro i tumori, i cosiddetti inibitori dei checkpoint immunitari, ottenendo effetti terapeutici significativi».

Gli scienziati italiani hanno anche scoperto che porzioni di antico Dna virale, in sostanza retrovirus endogeni risalenti a centinaia di migliaia o anche milioni di anni fa, silenziati nel copro umano e di fatto inerti, se attivati simulano un’infezione virale. E le cellule che li esprimono vengono rilevate dal sistema immunitario alla stessa stregua di cellule infettate da virus odierni. Di conseguenza, viene specificato dall’Ieo, il sistema immunitario reagisce attaccando le cellule tumorali che esprimono retrovirus endogeni, distruggendo così il tumore. «Questo nuovo approccio apre la strada a una combinazione razionale di trattamenti che potrebbero rivelarsi molto efficaci nel combattere il cancro al pancreas. Inoltre, l'attivazione dei retrovirus endogeni indotta da trametinib potrebbe fornire nuovi bersagli per lo sviluppo di vaccini terapeutici anche contro il cancro del pancreas. Ora bisogna avere conferma dei dati ottenuti in laboratorio in prossimi studi clinici, che contiamo di poter attivare il più rapidamente possibile», conclude Alice Cortesi, prima autrice dell’articolo.

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