sabato 21 gennaio 2017
Il sociologo Gui: la miscela tra sacro senza spiritualità, carisma senza condivisione, tratti carismatici e solitudine può diventare esplosiva. Ai laici tocca crescere in maturità e responsabilità
A Padova la Chiesa è ferita ma è viva
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A capo chino ma a cuore alto. A un mese esatto dalla perquisizione della canonica della parrocchia di San Lazzaro da parte dei carabinieri e le accuse a don Andrea Contin, la Chiesa padovana chiede scusa, non nasconde l’amarezza, non finge di non provare dolore, guarda in faccia lo scandalo ma è in piedi, per ripartire dal tantissimo di bello e buono che è e fa.

È una Chiesa ferita. «Ho sentito tante parole, qui in Curia, da preti e laici del coordinamento vicariale di Torre». Don Giuliano Zatti è vicario generale dal primo gennaio, in piena bufera. «Parole: sofferenza, sconcerto, desolazione, strazio... C’è un bene ferito». Il bene della Chiesa locale. «È proprio vero che Dio per le sue opere si affida a mani povere».


Cercano di darsi una spiegazione, preti e laici. Intanto a San Lazzaro è stato mandato come amministratore parrocchiale don Giovanni Brusegan, rettore della Cappella universitaria e delegato vescovile per la cultura e l’ecumenismo. «Stroppabusi» dice lui sorridendo. Un tappabuchi, esperto (suo malgrado) in interventi in parrocchie in crisi. «Nonostante tutto ho trovato una comunità viva. Provata, certamente. E nello sconcerto. Deve fare i conti con una grande contraddizione». È la contraddizione di un parroco dall'immagine doppia, come emerge dagli attestati di stima che ancora gli giungono da alcuni fedeli increduli perché, accidenti, il don Andrea che loro hanno conosciuto, e da cui hanno ricevuto del bene, non è quell’erotomane perverso che la stampa locale sbatte allegramente in faccia ai padovani ogni mattina, pubblicando paginate di verbali con maniacale dovizia di dettagli.


Ma che cosa è successo a San Lazzaro? Brusegan scandisce piano le parole, da prete saggio ed esperto, ma schietto: «Il guru scintilla». Un parroco guru, con doti di fascinazione: «Adesso bisogna attraversare il deserto e, ne sono certo, si spalancheranno prospettive molto belle. Hanno vissuto il rapporto con don Andrea in buona fede, e oggi soffrono. Il deserto: devono passare da una fede concentrata su quel prete, il mediatore, in una centrata su Gesù Cristo, il Signore. Non hanno commesso peccato alcuno se non di fiducia, di abbandono eccessivo».


Raccogli voci, testimonianze, brani di lettere ora addolorate ora risentite. Ed emerge chiaro chi fosse don Contin, che in parrocchia aveva tanti fedeli di altre zone che venivano a San Lazzaro per lui, solo per lui: un magnifico seduttore capace di mostrare il suo lato luminoso, riservando il lato tenebroso agli incontri con donne (in base alle prime ricostruzioni) ridotte a succubi, soggiogate, tenute in pugno. Potere spirituale, potere sessuale: angelo e demone. «Se non c’è Dio, non ti resta più niente – riflette Zatti – l’evidenza della fede è questa e cozza contro un’autorità e un potere privi di Dio».


«La gente ha fame di punti di riferimento, di una guida carismatica, di un padre». Luigi Gui dirige la Scuola di formazione sociale della diocesi di Padova ed è sociologo all’Università di Trieste. Parla di preti da padre di un giovane prete. «Il problema è che il prete si porta addosso (spero ne abbia sempre meno) una sua sacralità, nel senso di "separato, distinto", di prìncipe fulcro centrale della comunità. Solo. Se non possiede una forte spiritualità, rischia di confondere il vero centro, Cristo, con se stesso».
Ha tutti attorno, tutti dipendenti da lui, tutti ossequienti: «E così rischia di avere una percezione falsata della realtà. Se poi quel prete è dotato di fascino carismatico, rischia di pensare: "Io posso tutto". E se, ancora, ha pure delle capacità manageriali, è finita». Gli antidoti ci sarebbero: la collegialità, la condivisione: «Tecnicamente, il parroco è un collaboratore del vescovo e quando viene ordinato gli promette obbedienza». Ma che fine fa, poi, quel legame tanto stretto? «Se si allenta troppo, quel prete è come un palloncino che sfugge di mano e vaga senza rotta».

Gui sorride, di un sorriso amarognolo: «Adesso non lapidiamo don Contin. Semmai facciamo tesoro della vicenda, vigilando, riducendo il rischio. Stando attenti ai sintomi: sacralità, centralità associata a scarsa spiritualità, tratti carismatici e imprenditorialità autonoma: la miscela può essere esplosiva». Tocca a tutti, laici compresi: «Dobbiamo domandarci quanto i nostri preti siano lasciati soli, idolatrati, con l’intera gestione della comunità sulle spalle. Più il popolo di Dio cresce in maturità e corresponsabilità, meno lascerà che queste fragilità scivolino verso la tragedia».
L’ultima domanda è per Zatti: se si trovasse faccia a faccia con don Andrea, che cosa gli direbbe: «Hai un debito con noi, un debito di verità».

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