giovedì 10 giugno 2021
Giovanni Visci: anche un professionista può sbagliare, ma il nostro Coordinamento non può essere messo ancora sotto accusa. Nelle nostre linee guida vietate le "domande suggestive"
Il presidente Cismai: Bibbiano? Possibili errori
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La preoccupazione più forte per tutti coloro che si occupano di infanzia violata – giudici, servizi sociali, terapeuti, comunità – è la mancanza di un sistema nazionale uniforme per la raccolta dei dati. Le statistiche di cui disponiamo sono soltanto delle stime. Anche l’ultima indagine realizzata dall’Autorità garante per l’infanzia insieme a Cismai e Terres des hommes fotografa solo il 25% della realtà esistente. Il resto possiamo solo immaginarlo. «L’indagine a cui abbiamo collaborato, resa nota qualche settimana fa – risponde Giovanni Visci, pediatra, presidente del Cismai (Coordinamento italiano servizi contro il maltrattamento e l’abuso dell’infanzia) – si avvale dei dati forniti dai Comuni. Ma rispondere non è obbligatorio. Eppure la stessa Oms indica la necessità di una raccolta dati nazionale, con tutte le informazioni corrette provenienti dalle varie amministrazioni e autorità. In Italia questa indagine non esiste». Il tema è tra i più dibattuti al convegno mondiale Ispcam in corso on line all'Università di Milano Bicocca, che proprio il Cismai ha organizzato per quanto riguarda la partecipazione italiana.

Presidente Visci, bastano queste stime per varare iniziative efficaci contro l’abuso?

Certamente no, altrimenti si naviga a vista, come purtroppo succede in Italia

Concretamente cosa si può fare sul fronte della prevenzione?

I Paesi che aderiscono all’Ispcam hanno messo a fuoco una serie di fattori che favoriscono il maltrattamento. Sono condizioni culturali, economiche, relazionali. Va indagato il cosiddetto ciclo dell’abuso: le persone abusate da piccole, tendono a reiterare lo stesso comportamento. Altri fattori di rischio sono povertà, dipendenze, criminalità, malattie.

Spesso i servizi sociali fanno fatica a intercettare tutte queste marginalità. A parte la riforma dei servizi stessi, che però non è in programma, che alternative abbiamo?

Qualche esperienza interessante c’è. In Abruzzo l’associazione bambini.it ha avviato un progetto che per tre anni ha avvicinato le famiglie in difficoltà, contattandole già nei punti nascita e poi accompagnandole successivamente. Ebbene, si è così riusciti a dimezzare le situazioni di abuso.

Parlando di abusi, non possiamo evitare di riflettere sul caso Bibbiano in cui sono coinvolti alcuni professionisti iscritti al Cismai. Vi sentite sotto accusa?

Ci possono essere stati colleghi, anche all’interno del nostro Coordinamento, che possono aver scelto criteri non corretti, ma questo non vuol dire che quando all’interno di una categoria ci sono professionisti che sbagliano, tutta la categoria va mandata sotto accusa.

Si è parlato di linee guida che lasciavano aperta la strada a domande suggestive e reiterate nell’ascolto dei minori.

Noi non abbiamo mai sostenuto nelle nostre linee guida né in altri protocolli la necessità di domande suggestive. Assolutamente mai. Non esiste un solo documento in questo senso e sfido chiunque a trovare protocolli Cismai in cui si faccia riferimento a queste possibilità. Da quando sono diventato presidente, mi sono preso l’incarico di rivedere tutti i nostri documenti e non ho trovato alcun protocollo simile. Si è creata una condizione di caccia alla streghe che ci ha soltanto danneggiato. Ora vedremo l’esito del processo.

È fuori discussione però che, come risulta dagli atti del processo e dalle intercettazioni, professionisti legati al gruppo di Claudio Foti abbiamo ascoltato i bambini con criteri più che discutibili...

Foti non è più socio Cismai dal 2017. Se lui e altri professionisti hanno sbagliato lo accerterà il tribunale competente, ciò non significa che abbiamo sbagliato come associazione. Oggi, ripeto, nelle nostre linee guida non c’è scritto mai che bisogna mai porre domande suggestive o che bisogna suscitare falsi ricordi. Ripeto, le persone che sbagliano ci sono, ma non può essere incriminata un’intera associazione.

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