mercoledì 17 marzo 2021
L'incidente in Spagna il 20 marzo 2016 costò la vita a 7 studentesse italiane, l’appello delle famiglie. «La loro morte non sia vana, necessario cambiare il protocollo di sicurezza di queste gite»
Un'immagine dell'incidente

Un'immagine dell'incidente - Ansa

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«La nostra vita è distrutta per sempre. Nessun processo, nessuna sentenza ci restituirà nostra figlia, la nostra unica figlia. Però non ci stancheremo mai di cercare giustizia e verità per lei e le altre ragazze. Per questo, chiediamo che, cinque anni dopo, la magistratura italiana apra una propria inchiesta per arrivare, il prima possibile alla verità. E fare in modo che mai più nessuna famiglia debba soffrire ciò che stiamo soffrendo noi».

È un dolore fermo e dignitoso, quello di Gabriele Maestrini, padre di Elena, una delle sette studentesse italiane che hanno perso la vita nell’incidente stradale avvenuto il 20 marzo 2016 al chilometro 333 dell’autostrada Ap7 che collega Valencia e Barcellona, all’altezza di Freginals, in Catalogna. Stavano tornando nella capitale catalana dopo aver assistito al Festival del Fuoco de Las Fallas. Una gita organizzata dall’Università di Barcellona, dove le studentesse erano in Erasmus.

Nello schianto persero la vita in tredici, tutte ragazze tra i 19 e i 25 anni. Elena di anni ne aveva 21 e studiava Economia e management a Firenze. Aveva tutta la vita davanti, ma tutto si è spento quell’ultimo giorno di inverno. «La nostra vita è finita con lei», ripete più volte papà Gabriele. Che da allora, insieme alle altre famiglie (quelle di Francesca Bonello, Elisa Valent, Valentina Gallo, Lucrezia Borghi, Serena Saracino ed Elisa Scarascia Mugnozza), non ha mai smesso di chiedere giustizia e verità per quelle figlie così crudelmente strappate alla vita. Giustizia e verità che, invece, per tanto tempo le autorità e la magistratura spagnole non si sono premurate di cercare. Per tre volte il caso è stato archiviato come “semplice” incidente stradale provocato da un colpo di sonno dell’autista. E soltanto la tenacia delle famiglie, ha evitato che questa immane tragedia finisse senza nemmeno un processo. Che, come spiega nell’inter- vista in questa pagina il magistrato spagnolo incaricato di seguire il caso, ancora non si sa quando si potrà celebrare. Forse tra un anno. Quando ne saranno passati sei dalla morte di Elena Maestrini e delle altre studentesse.

La commemorazione delle vittime a Barcellona

La commemorazione delle vittime a Barcellona - Ansa

«Cinque anni dopo, il sentimento prevalente è una grande amarezza», riprende Gabriele Maestrini. «Le autorità italiane ci sono state vicine nell’immediatezza dei fatti, ma poi non abbiamo più sentito nessuno», ricorda il genitore. Che a tutte le più alte cariche dello Stato (da Mattarella in giù) e a tutti i parlamentari, ha fatto recapitare il libro La figlia d’Europa. Il sogno infranto di Elena Maestrini, scritto dalla giornalista Jule Busch per 96, Rue de-La-Fontaine Edizioni di Follonica, in provincia di Grosseto. A parte il presidente Mattarella, che ha inviato una lettera autografa alla famiglia, nessun altro si è fatto vivo, tra gli inquilini dei palazzi della politica.

A livello locale, invece, i Maestrini sono stati sostenuti dal sindaco di Gavorrano, paese dove abitano, che ha intitolato a Elena delle borse di studio e una festa dello sport. «Soltanto con l’apertura, in Italia, di un’inchiesta indipendente – ribadisce Maestrini – riusciremo a risalire alla catena di responsabilità, che non riguardano soltanto l’autista, ma soprattutto chi l’ha fatto guidare per 24 ore di fila senza prevedere soste ne riposi. È stato sicuramente un grave errore, ma è proprio dagli sbagli che si deve imparare. Perché queste cose non accadano mai più».

La famiglia Maestrini e quelle delle altre sei studentesse italiane decedute in Spagna, chiedono che sia scritto un protocollo con l’indicazione precisa delle modalità con cui si devono svolgere queste gite universitarie. «Che, anche dopo questa tragedia, continuano come se nulla fosse con le stesse modalità», denuncia Maestrini. «Invece è necessario un nuovo protocollo – spiega il genitore – che, per esempio, preveda il doppio autista in caso di percorsi così lunghi e anche il pernotto. Condizioni che, se fossero già state previste allora, avrebbero salvato le nostre figlie. Mandate a morire con una superficialità che non può e non deve restare impunita».

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