mercoledì 19 agosto 2020
Il veliero Astral verso il Canale di Sicilia per rompere il black-out informativo. In passato aperte inchieste giudiziarie grazie alle prove raccolte dalle navi umanitarie.
La nave Astral di Open Arms si sta dirigendo verso il Canale di Sicilia

La nave Astral di Open Arms si sta dirigendo verso il Canale di Sicilia

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Sono sempre più frammentate le notizie che arrivano dal Canale di Sicilia. Con le navi umanitarie estromesse dai provvedimenti del governo italiano e l’aumento delle partenze dalla Tunisia, il fronte libico seppur caldo resta “scoperto”. Affidato essenzialmente alla cosiddetta Guardia costiera libica che grazie al supporto dell’Unione europea, di Italia e Malta prosegue nei respingimenti. “La Libia non può in alcun modo essere considerato un porto sicuro di sbarco. Nessuna persona dovrebbe essere ricondotta in quel Paese”, ribadiscono ogni giorno le agenzie Onu Unhcr e Oim.

Se le ultime informazioni verificabili si devono essenzialmente alle immagini dall’aereo di Sea Watch, ora torna in mare un altro team scomodo. E’ Open Arms con la nave Astral che poche ore fa ha preso il largo da Barcellona e tra qualche giorno raggiungerà il Mediterraneo Centrale, dove “sarà operativa una missione di osservazione e denuncia”.

La condizione di estrema vulnerabilità delle persone in fuga dall'inferno libico su imbarcazioni precarie nel Mediterraneo centrale “è stata esacerbata negli ultimi mesi dal consolidamento degli accordi disumani tra Italia, Malta e il governo di Tripoli grazie ai quali - si legge in una nota dell’organizzazione fondata da Oscar Camps - l’omissione di soccorso in acque internazionali è diventata norma, in violazione dei trattati internazionali e delle leggi marittime che tutelano la vita umana in mare”.

A bordo ci sarà tra gli altri il comandante Riccardo Gatti, protagonista di migliaia di salvataggi. Proprio al lavoro di monitoraggio di Open Arms si deve la prima inchiesta giudiziaria contro una nave mercantile italiana coinvolta in un respingimento illegale verso la Libia. Indagine che ha già portato alla fase processuale, che in autunno potrebbe vedere alla sbarra il comandante e il rappresentante dell’armatore. L’episodio, che riguardava la nave italiana “Asso 28” fu possibile scoprirlo e documentarlo grazie alle registrazioni delle comunicazioni e alla testimonianza diretta dell’equipaggio dell’organizzazione umanitaria. E il 3 ottobre si aprorà a Catania il processo all'ex ministro dell'Interno Mateto Salvini che nel 2019 per giorni aveva impedito alla nave umanitaria di far sbarcare i naufraghi soccorsi in mare.

Almeno quattro imbarcazioni con a bordo 450 migranti hanno fatto perdere le tracce nel Mediterraneo centrale nelle ultime ore. Una di queste, localizzata nell’Area di ricerca e soccorso (Sar) delle acque libiche, con a bordo almeno 100 persone, è
considerata dispersa. A renderlo noto su Twitter l’ong Alarm Phone. Stando alla segnalazione, le altre tre barche si troverebbero in zona Sar maltese. Le tre imbarcazioni trasporterebbe rispettivamente 120, 80 e 150 passeggeri. Gli ultimi contatti registrati sono rispettivamente intorno a mezzogiorno, nella mattinata di oggi e ieri. Una motovedeta libica avrebbe intercettato circa 80 persone, ma non si sa ancora se si tratti di uno dei barconi segnalati o di altra imbarcazione.

La “strategia di criminalizzazione e di fermi amministrativi pretestuosi” da parte delle autorità dei paesi costieri, messa a punto “con l'obiettivo di bloccare la flotta umanitaria che opera nel Mediterraneo centrale”, necessità adesso di tornare “a documentare ciò che sta accadendo in quel tratto di mare, attivando le amministrazioni responsabili della protezione dei più vulnerabili e assicurando un rapido intervento in caso di necessità”.

Nelle ultime settimane oltre a un imprecisato numero di stragi, alcune delle quali accertate solo dalle inchieste giornalistiche, si ripetono non solo i respingimenti illegali, ma anche i casi di abbandono in mare e omissione di soccorso. “Per questo è per noi urgente tornare a garantire la protezione delle vite in pericolo e costringere tutte le parti ad adempiere alla loro responsabilità nei confronti di chi rischia la vita in mare”, ribadisce Open Arms.

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