venerdì 8 maggio 2020
Nazioni Unite confermano la ricostruzione della "Strage di Pasquetta". Appello a Roma e La Valletta: non ostacolate i salvataggi
Il "peschereccio fantasma" libico-maltese durante il respingimento del 15 aprile

Il "peschereccio fantasma" libico-maltese durante il respingimento del 15 aprile

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"Profondamente preoccupati” per le recenti segnalazioni circa “l’incapacità di assistere” i profughi alla deriva e per “i respingimenti delle imbarcazioni dei migranti nel Mediterraneo centrale, che continua ad essere una delle rotte migratorie più letali al mondo”. Lo denuncia l’Alto commissariato Onu per i diritti umani che attraverso la missione delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) ha avuto conferme all’inchiesta di Avvenire sulla strage di Pasquetta. Non solo, gli uffici Onu tornano ad accusare l’intera filiera del traffico di esseri umani in Libia, che coinvolge le autorità in accordo con la mafia dei trafficanti e delle milizie.
“Il 15 aprile, l'Unsmil ha verificato - si legge nella nota da Ginevra - che 51 migranti e richiedenti asilo, tra cui 8 donne e 3 bambini, a bordo di un natante sono stati respinti in Libia attraverso una barca privata maltese dopo essere stati prelevati nelle acque maltesi”. I migranti sono stati internati “dalle autorità libiche nel centro di detenzione di Tarik al-Sikka. Durante i loro sei giorni in mare, cinque persone sono morte e altre sette sono scomparse e si presume che siano annegate”.
Per l’Ufficio Onu “i report secondo cui le autorità maltesi hanno richiesto alle navi commerciali di spingere in alto mare le imbarcazioni con migranti e rifugiati in pericolo sono di particolare preoccupazione”.
Non si tratta di episodi, ma di un piano sistematico per bloccare i migranti in Libia senza in cambio ottenere neanche il minimo rispetto dei diritti umani. Con la complicità di una intera catena che tiene insieme i guardacoste, i trafficanti e le milizie. “La Guardia costiera libica - accusa l’Onu - continua a riportare a terra i barconi e collocare i migranti intercettati in strutture di detenzione arbitrarie, dove si trovano ad affrontare condizioni orribili tra cui torture e maltrattamenti, violenza sessuale, mancanza di assistenza sanitaria e altre violazioni dei diritti umani”. Campi di prigionia che “sono ovviamente ad alto rischio di essere contagiate dal Covid-19”.

In queste condizioni, e in un Paese senza tregua, ostacolare il soccorso in mare, senza avere avviato alcuna seria campagna per i corridoi umanitari né per la protezione a terra dei migranti detenuti, ostacolare il soccorso in mare vuol dire mettere a rischio la vita delle persone. “Chiediamo che le restrizioni sul lavoro di questi soccorritori vengano immediatamente revocate. Tali misure mettono chiaramente a rischio la vita”, ribadisce l’Alto commissariato alludendo in particolare alla recente “immobilizzazione delle navi umanitarie di salvataggio Alan Kurdi e Aita Mari” fermate dall’Italia: “Regolamenti e misure amministrative vengono utilizzati per impedire il lavoro delle Ong umanitarie”.
Nei primi tre mesi dell'anno, si sono quadruplicate le partenze dalla Libia. Nonostante “i migranti che intraprendono questo viaggio hanno una gamma diversificata di esigenze di protezione sia in materia di diritti umani internazionali che di diritto dei rifugiati, incluso, il principio di non respingimento, che protegge tutti i migranti, indipendentemente dalla loro migrazione o stato di asilo”, dal 9 aprile, sia l'Italia che Malta “hanno dichiarato i loro porti "non sicuri" per lo sbarco a causa del Covid-19”.

Anche la Corte penale dell'Aia ha ribadito il quadro libico, che contempla gli interessi di gruppi criminali, signori della guerra e loro emissari rpesso il governo. Anche per questo l’Alto commissario per i Diritti umani chiede agli stati “una moratoria su tutte le intercettazioni e ritorni in Libia. In conformità con le nostre linee guida recentemente pubblicate su Covid-19 e sui migranti, ribadiamo che gli Stati devono sempre rispettare i loro obblighi ai sensi dei diritti umani internazionali e del diritto dei rifugiati”.

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