venerdì 11 gennaio 2013
​Protezione civile: anche tre quartieri del capoluogo compresi (per la prima volta) nei piani di evacuazione. In caso di terremoto saranno evacuate 800mila persone. Ma resta da risolvere il nodo della scarsità di mezzi di trasporto.
Martini: «Situazione insostenibile, pochi fondi e personale»
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Si allarga la “zona rossa” ad alto rischio attorno al Vesuvio, passando da 18 a 24 comuni, e per la prima volta anche tre quartieri di Napoli: San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli, con quasi 118mila abitanti. Le persone da evacuare in caso di eruzione salgono così da 500mila a 800mila. Il nuovo scenario è il frutto dell’aggiornamento del piano nazionale di emergenza per il Vesuvio di cui si è discusso ieri nel corso di un comitato operativo della Protezione Civile, convocato proprio per fare il punto sul vulcano e sull’area dei Campi Flegrei. Ed è proprio quest’area, già colpita negli anni ’80 dal gravissimo fenomeno del bradisismo, a preoccupare di più al punto che l’allerta è passata dal livello "base" o "verde" a quello di "attenzione" o "giallo", il secondo di quattro. Qui le persone da evacuare (ma i piani sono molto vecchi) sarebbero 400mila, col coinvolgimento di Napoli che sarebbe raggiunta da ceneri e lapilli.A preoccupare non sono solo alcuni segnali (vedi intervista) ma anche l’atteggiamento della popolazione e delle istituzioni. «Su questi temi – denuncia il capo del Dipartimento della Protezione civile, Franco Gabrielli in quello che definisce "un appello" – riscontro purtroppo ancora un’insensibilità e mancanza di consapevolezza del rischio. Nella zona dei Campi Flegrei – aggiunge – la percentuale di gente che non conosce il rischio su cui, letteralmente, è seduta, raggiunge percentuali tra il 70 e l’80%». Questa «insensibilità – rincara la dose – spesso si traduce in un atteggiamento di trascuratezza delle istituzioni». Eppure, avverte, «le condizioni in cui si vive nei Campi Flegrei non ha eguali nel Mondo per pericolosità» con paesi costruiti proprio dentro la caldera che ha un diametro di 12 chilometri. Insomma, come spiega il vice presidente della Commissione Grandi Rischi, Mauro Rosi, «anche se non abbiamo per ora certezze, sarebbe sciocco e irresponsabile far finta di niente. Non vogliamo spaventare nessuno ma è necessario essere consapevoli dei rischi. Invece in quell’area si pensa che il vulcano sia spento. Non è vero, è solo un vulcano ben camuffato».Per quanto riguarda il Vesuvio la "zona rossa" viene suddivisa in due aree: la prima «ad alta pericolosità», esposta al rischio di invasione di flussi piroclastici (gas e materiale solido a elevata temperatura) e la seconda «ad elevato rischio crolli delle coperture degli edifici», per effetto dell’accumulo di ceneri e lapilli. Il lavoro non è affatto concluso e, come hanno spiegato Gabrielli e l’assessore regionale alla Protezione civile, Edoardo Cosenza, il numero degli abitanti da evacuare potrebbe ridursi (ma sicuramente a non meno di 600mila) appena la Regione avrà completato lo screening con i comuni. Entro il 31 marzo, ha sottolineato Gabrielli, «ho chiesto di avere gli ambiti delineati, in modo da avere numeri più chiari». «Lavoriamo in perfetta sinergia con il Dipartimento ed entro quella data – ha risposto Cosenza – avremo lo scenario completo». Aggiungendo che «nella "zona rossa" non si può fare nulla, è intoccabile». Esclude un ritorno agli incentivi economici per spingere la gente ad abbandonare il Vesuvio, mentre rilancia «la "moneta urbanistica": chi abbandona questa zona può costruire con un volume superiore del 35%, ma deve abbattere la vecchia casa».Resta la questione dei mezzi per l’evacuazione (il sistema stradale è ancora insufficiente). «Non ci nascondiamo – ammette Gabrielli – che sarebbe in ogni caso un evento di dimensioni importanti, non c’è medicina o tecnica che risolva situazioni di così difficile gestione ed è impossibile la pianificazione di tutti gli imprevisti». Ricordando che sarebbe «un’emergenza nazionale per la quale l’Europa non potrà lasciarci soli».
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