giovedì 12 gennaio 2017
Negli anni Sessanta con Eco portò lo studio del linguaggio dei media (cinema, teatro, televisione) fino al grande pubblico
Gianfranco Bettetini (Siciliani)

Gianfranco Bettetini (Siciliani)

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È morto oggi nella sua casa milanese Gianfranco Bettetini (Milano, 16 gennaio 1933), uno dei più importanti semiologi italiani e fondatore dell’Istituto di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo dell’Università Cattolica di Milano. Critico letterario e regista, negli anni Sessanta, portò insieme ad Umberto Eco la semiotica applicata allo studio dei media (cinema, teatro, televisione) fino al grande pubblico.

Gianfranco Bettetini è stato un padre della semiotica italiana, ma più in generale di tutti gli studi sui mezzi di comunicazione di
massa, e non solo sugli audiovisivi, ma anche sul sistema dei media in generale, conosciuto e stimato a livello internazionale. Una passione, quella per la comunicazione, che gli derivava dall’educazione teatrale ricevuta negli anni giovanili, coltivata anche durante gli studi in ingegneria al Politecnico, e poi proseguita e messa a frutto negli anni di lavoro in Rai.

E’ stata anche e in modo importante questa sua passione per la regia, per la messa in scena, per la realizzazione concreta, che gli ha dato uno sguardo originale e profondo sui meccanismi di costruzione dei testi della televisione e del cinema.Negli anni in cui la semiotica si affermava come disciplina quasi universale –il suo legame di grande amicizia e di sintonia disciplinare con Umberto Eco, pur nella rispettosa distanza di alcune posizioni di fondo, è proseguito fino all’ultimo giorno- Bettetini aveva una consapevolezza delle mediazioni del linguaggio e dei media, della non immediata trasparenza di ogni notizia, reportage, racconto, rispetto al fatto che vuole essere narrato, che gli derivava non da posizioni ideologiche strutturaliste o da ideologie decostruzioniste, ma da un concreto realismo e da una concreta esperienza del lavoro di messa in forma che anche una diretta televisiva opera sempre, e dalle necessarie selezioni che anche una cronaca apparentemente neutrale deve operare rispetto al fatto che vuole narrare.

Le evidenze esperienziali sulla mediazione comunicativa erano poi state approfondite e fondate teoricamente richiamandosi alle posizioni di un realismo critico di radice tomista, via via approfondito e messo a frutto a partire dagli anni ’80. Gli anni ’90 da una parte lo vedono entrare più “nella mischia” di alcune questioni antropologiche che riguardano i media e dall’altra seguire con grande attenzione e competenza lo sviluppo delle nuove tecnologia: la Computer Graphic, la realtà virtuale, gli archivi elettronici, l’ipertesto, la dimensione digitale come elementi sempre più cruciali della comunicazione tout court, senza dimenticare anche incursioni nella pubblicità e nella comunicazione di impresa. L’aver lasciato la Rai e il potersi dedicare a tempo pieno al lavoro accademico lo porta anche a sviluppare studi più ampi in ambito sociologico.

Lo spettro di questi percorsi e di questi interessi mostra, credo, molto bene come Bettetini sia stato un pioniere in molti campi, ma anche abbia saputo individuare talenti e incoraggiare le persone a muoversi con coraggio e determinazione secondo le loro inclinazioni e le loro passioni intellettuali.

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