
Le comunicazioni di Meloni alla Camera - Ansa
È il conflitto a Gaza il primo tema a infiammare il premier time di mercoledì alla Camera (il secondo in una settimana dopo quello a Palazzo Madama di mercoledì scorso). Gli animi, però, si scaldano anche sul riarmo e soprattutto con la guerra dei numeri sulla sanità ingaggiata da Elly Schlein.
Rispetto a quanto sta avvenendo in Palestina, Giorgia Meloni non nega che la situazione sia «sempre più drammatica e ingiustificabile», e questo impone al governo israeliano «di rispettare il diritto internazionale». Roma, però, non ha intenzione di richiamare l’ambasciatore (come chiesto dal leader di Avs, Angelo Bonelli, durante la sua interrogazione), anche se l’esecutivo «non condivide le recenti proposte del governo israeliano». E poi, per come la vede Meloni, «non è stata Israele a iniziare le ostilità» e «c’era un disegno alla base dei disumani attacchi di Hamas. Un disegno che puntava all’isolamento e questo non può non farci riflettere su quanto sarebbe pericoloso assecondare il disegno dei terroristi che non si sono fatti scrupoli a sacrificare la vita sia di israeliani che di palestinesi pur di perseguire i propri scopi».
Argomenti che non bastano a Bonelli, piuttosto irritato dalle risposte ricevute e «indignato dall’ipocrisia» della premier, priva «del coraggio necessario per condannare i fatti criminali che stanno accadendo» e a suo dire più attenta «a calcoli politici utili a mantenere il proprio potere».
L’altro scontro si consuma con Giuseppe Conte, che punta dritto al tema del riarmo e rinfaccia al capo del governo di «essersi fatta fregare due volte»: con il primo sì al piano di riarmo nel Consiglio europeo del 6 marzo e con l’assenso italiano a «un cappio al collo per cui il Paese deve tagliare su tutto il resto tranne che sulle armi». Anche in questo caso Meloni non è disposta a incassare senza reagire e prima ironizza sulla «recentissima, travolgente passione antimilitarista di Conte che nessuno ha avuto modo di apprezzare quando era il presidente del Consiglio». Poi chiarisce che dal suo punto di vista «la libertà, la sovranità, la difesa degli interessi nazionali, hanno un costo» e «se fai pagare a qualcun altro la tua difesa e la tua sicurezza, devi anche sapere che non sarai tu a decidere del tuo destino». Per tutta risposta Conte torna sul conflitto in Medio Oriente e propone all’aula un minuto di silenzio in piedi. La premier e i deputati di maggioranza non si alzano, le opposizioni sì (tranne Iv). E il presidente pentastellato affonda: «Lei resta seduta?».
Segue un breve momento di calma che prelude al duello finale con Schlein. La leader dem prende la parola e tornando su un tema oggetto dell’interrogazione di Noi moderati, accusa la presidente del Consiglio di aver ridotto «la sanità al collasso», di aver fatto «fuggire all’estero oltre 40mila medici» e di aver alimentato la migrazione sanitaria. «Quattro milioni e mezzo di persone - incalza la segretaria del Pd - hanno rinunciato a curarsi, per lo più per difficoltà economiche. E poi - aggiunge - la spesa sanitaria si calcola sul Pil e il suo governo è al minimo storico».
Meloni non accusa il colpo e anzi riserva Schlein la replica più dura: «Penso che sia sempre un po’ complesso confrontarsi con qualcuno che per fare propaganda è costretto a mentire, però in fondo è anche per certi versi una buona notizia. Quando noi ci siamo insediati nel 2022, il Fondo Sanitario Nazionale era di 126 miliardi - ricorda - 10 miliardi meno di adesso». Mentre il Pd, «quando è stato al governo, non si è mai sognato di fare aumenti come quello che abbiamo fatto noi in questi due anni. Torno a dire che è stato portato a 136 miliardi e 500 milioni nel 2025 e che questo è il livello più alto di sempre».
Più soft i botta e risposta con Maria Elena Boschi di Iv e Matteo Richetti di Azione, che lamentano il calo degli stipendi, l’assenza di politiche industriali adeguate e il calo della produzione. Mentre le risposte della premier agli esponenti delle forze di maggioranza sono più che altro un pro forma e raccolgono tutte il plauso degli interroganti, specie l’annuncio dell’invio «di oltre 13.500 unità delle forze dell’ordine per potenziare la sicurezza nei territori».

Riccardo Magi, leader di +Europa, travestito da fantasma per protesta sul silenzio mediatico relativo ai referendum, viene espulso dal Parlamento - Ansa
Nel mezzo, la protesta inscenata dal segretario di Più Europa, Riccardo Magi, che a un certo punto compare tra i gradini dell’emiciclo addobbato come un fantasma, rappresentazione piuttosto eccentrica del proprio disappunto per la scarsa comunicazione in vista dei referendum di giugno. La perfomance mette alle strette il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, che a quel punto non può fare altro se non chiedere l’intervento dei commessi per espellere Magi.