mercoledì 24 aprile 2019
È polemica sulle ricette "fai da te" delle Regioni. Assunzioni in Romania, l’ira dei sindacati
(Ansa)

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La carenza di medici rischia di strangolare i sistemi sanitari regionali e i governatori provano a tamponare come possono. È di ieri mattina la firma di Enrico Rossi, governatore della Toscana, sotto le delibere con cui si dà il via libera all’assunzione con contratto da liberi professionisti a giovani neolaureati ancora privi di specializzazione nei Pronto soccorso: il rischio concreto, sostiene la Regione, è quello di interruzione di pubblico servizio. Più a nord, in Veneto, nemmeno un mese fa aveva fatto scalpore la decisione di richiamare medici in pensione in corsia. Di sabato, invece, l’idea dell’Azienda sanitaria Trevigiana (Ulss 2) di far arrivare specializzandi all’ultimo anno direttamente dall’università rumena di Timisoara.

I numeri d’altra parte parlano chiaro. Da qui al 2025 potremmo avere di 16mila camici bianchi in meno rispetto al necessario nelle corsie degli ospedali di casa nostra. Per quella data dobbiamo formare 65mila neolaureati. Le soluzioni vanno trovate. Durissima tuttavia la replica del sindacato degli ospedalieri Anaao, per bocca il presidente nazionale Carlo Palermo: «Le Regioni si stanno muovendo al risparmio. Stiamo assistendo alla nascita di una sanità low cost. Per un laureato in Medicina assunto con queste modalità – ha spiegato – la prospettiva di lavoro è pari a zero. Non si fa altro che creare precariato».

Altrettanto dura la risposta dell’assessore veneto alla Sanità Emanuela Lanzarin: «Se ci sono 16mila medici pronti per essere assunti negli ospedali con contratti a tempo indeterminato chiedo a Palermo di presentarcene 1.300, quelli di cui ha bisogno il Veneto e non si riesce ad assumere perché non partecipano alle chiamate. Sarebbe ora di fare squadra e di cercare le soluzioni tutti assieme, invece che dire di no a tutte quelle che gli altri propongono».

A fare chiarezza sul caso dei medici stranieri ci pensa il professor Foad Aodi, presidente dell’Associazione dei medici di origine straniera in Italia (Amsi) e consigliere dell’Ordine dei medici di Roma. «Da gennaio 2018 abbiamo ricevuto mille richieste dalla sanità pubblica – spiega –. Ognuna di queste andava da uno a 35 medici». Parliamo dunque di migliaia e migliaia di specialisti. E ad averne bisogno sono soprattutto quattro regioni: anzitutto il Veneto, con 400 domande, poi Piemonte con 300 e Lombardia e Puglia con 100.

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In testa, dunque, c’è ancora quel Veneto dove l’Ulss 2 di Treviso spera che l’ateneo di Padova dia il via libera alla Rete di formazione allargata con l’università di Timisoara per affrancare nuovi specialisti: «La nostra idea – spiega il direttore generale Francesco Benazzi – è quella di permettere il completamento della specializzazione in ginecologia, anestesia e pediatria di alcuni giovani romeni qui da noi. Specialisti che, in quanto comunitari, potrebbero poi partecipare ai concorsi del nostro sistema sanitario». Uno scouting in piena regola che, assicura Benazzi, se fatto tra gli studenti del quinto anno di specializzazione italiani non basterebbe comunque a coprire il fabbisogno di specialisti.

Di tutt’altro avviso Andrea Rossi, vicesegretario di Anaao Veneto: «Mi chiedo che cosa penserebbe l’opinione pubblica se un giorno la sanità tedesca, che paga i medici il doppio dei nostri, facesse un protocollo simile con l’università di Padova o Verona per portare in Germania specializzandi veneti. Ogni laureato in medicina rappresenta un investimento da 150mila euro per l’Italia, che raddoppia se specializzato: alimentare il mercato dei medici non è la soluzione. L’ultima Legge di bilancio consente agli specializzandi italiani all’ultimo anno di partecipare ai concorsi. Partiamo da qui».

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La chiave sta nell’innalzare a 10mila l’anno le borse di specializzazione (oggi poco più di 6mila) a fronte degli oltre 10mila laureati in medicina: i medici italiani sono sufficienti, ma l’imbuto formativo ne blocca oggi 3mila alle soglie della scuola di specializzazione. «Anche perché l’Italia non è più attraente – riprende Aodi – per le condizioni di lavoro che presentano alti libelli di stress, medicina difensiva e costi altissimi delle assicurazioni. In Europa o in Arabia Saudita gli stipendi arrivano anche a 14mila euro. I non comunitari non hanno accesso ai concorsi e spesso rimangono parcheggiati nel privato, pagati male e tardi». Risultato? Lo scorso anno il 25 per cento di medici di origine straniera sono tornati nel loro Paese o hanno comunque lasciato l’Italia. Il gatto che si morde la coda. «Chi lavora qui da almeno 5 anni va ammesso ai concorsi, con l’impegno ad acquisire la cittadinanza» è la richiesta di Aodi.

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