mercoledì 6 gennaio 2021
L'imprenditrice calabrese sparì il 6 maggio 2016 dalla sua tenuta. Ora un collaboratore di giustizia fa il nome del presunto responsabile. Il fratello: un passo verso la verità
Un ritratto di Maria Chindamo

Un ritratto di Maria Chindamo - Archivio Ansa

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Maria Chindamo, l'imprenditrice calabrese rapita e fatta sparire alle 7,15 del 6 maggio 2016 davanti alla sua tenuta agricola di località “Montalto” di Limbadi (Vibo Valentia) potrebbe essere stata vittima di una vendetta per essersi rifiutata di cedere i suoi terreni a un vicino con gravi precedenti penali. E il suo corpo sarebbe stato distrutto da un trattore o dato in pasto ai maiali.

E uno squarcio si apre in questa terribile vicenda di "lupara bianca". A rivelarlo il collaboratore di giustizia Antonio Cossidente, di Potenza, con un passato nel clan dei Basilischi. Detenuto nello stesso carcere e nella stessa cella di Emanuele Mancuso, il rampollo del clan Mancuso di Limbadi che dal giugno del 2018 ha deciso di collaborare con la giustizia, ne ha raccolto la rivelazione.

In uno dei verbali depositati dalla Dda di Catanzaro nell’inchiesta che ha portato al rinvio a giudizio dei familiari di Emanuele Mancuso per le pressioni e le minacce esercitate per farlo recedere dal collaborare con la giustizia, racconta che "mi disse che era scomparsa una donna a Limbadi: un’imprenditrice di Laureana di Borrello, la Chindamo. Mi disse che lui era amico di un grosso trafficante di cocaina, P., legato alla famiglia Mancuso da vincoli storici e mi disse che per la scomparsa della donna, avvenuta qualche anno fa, c’era di mezzo questo P. che voleva acquistare i terreni della donna in quanto erano confinanti con le terre di sua proprietà. P. – continua Cossidente – aveva pure degli animali, credo che facesse il pastore e questa donna si era rifiutata di cedere le proprietà a questa persona”.

P. è il 53enne di Limbadi arrestato nel luglio 2019 con l’accusa di concorso nell’omicidio di Maria Chindamo ma scarcerato dal Tribunale del Riesame di Catanzaro. Era accusato di aver manomesso le telecamere di videosorveglianza della sua abitazione per evitare che riprendessero l’aggressione e il sequestro della donna, avvenuti proprio di fronte alla sua proprietà. Per il Riesame, però, non vi sarebbero elementi certi capaci di provare l’avvenuta manomissione delle telecamere. Le dichiarazioni di Cossidente in parte coincidono con quelle di Mancuso, proprio su P..

"Lui aveva interesse ad acquisire i terreni di proprietà dei vicini e, per timori circa possibili misure di prevenzione nei suoi confronti, era solito pagarli prima in contanti, per evitare la tracciabilità dei pagamenti, lasciarli formalmente intestati agli originari proprietari, per acquisirli successivamente attraverso l'usucapione". Mancuso ha anche confermato la vicenda delle telecamere non funzionanti, stupendosi perchè P. "era un maniaco della videosorveglianza e appena c'era qualche problema chiamava subito un tecnico". Ha poi rivelato che sempre P. gli chiese di bonificare le auto che gli erano state restituite dalla magistratura dopo un sequestro per controllarle proprio nell'ambito dell'inchiesta sulla scomparsa di Maria Chindamo. Così come gli chiese di togliere una telecamera che le forze dell'ordine avevano nascosto su una quercia per controllare tutti i movimenti tra Limbadi, Rosarno e San Ferdinando. La conferma che P. era molto preoccupato. Ma nel verbale c'è sicuramente molto altro, ancora da approfondire, visto che non poche pagine sono coperte da omissis.

"Un altro passo verso la verità - dice ad Avvenire Vincenzo Chindamo, fratello di Maria - che però non esclude le altre piste investigative".

Ricordiamo che l'ipotesi per ora più accreditata riteneva la scomparsa legata a una vendetta della famiglia di Rosarno dell'ex compagno della donna, morto suicida dopo essere stato lasciato.

"Ma le nuove rivelazioni non escludono una possibile somma di interessi. La morte di Maria può essere stata decisa per finalità diverse ma combacianti", insiste Vincenzo. E ricorda come a settembre l'azienda abbia subito il furto di alcuni mezzi agricoli, "un'azione che sembra molto più che un furto".

Maria Chindamo, evidentemente dà ancora fastidio, la sua memoria, la sua impresa devono essere annullate. Come il suo corpo. Le parole di Cossidente sono in qusto senso terribili. "Emanuele Mancuso mi disse anche che in virtù di questo rifiuto della Chindamo a cedere le proprietà, P. l’ha fatta scomparire, ben sapendo che, se le fosse successo qualcosa la responsabilità sarebbe ricaduta sulla famiglia del marito della donna, poiché il marito o l’ex marito dopo che si erano lasciati si era suicidato. Quindi questo P. sapendo delle vicende familiari della donna, sarebbe stato lui l’artefice della vicenda per entrare in possesso dei terreni e poi far ricadere la responsabilità sulla famiglia del marito in modo da entrare in possesso di quei terreni. Emanuele mi disse che la donna venne fatta macinare con un trattore o data in pasto ai maiali".

Parole drammatiche che attendono verifiche e riscontri. Ma finalmente qualcuno parla come ha sempre chiesto la famiglia di Maria, fiduciosa nella giustizia. Dall'anziana madre alla figlia Federica che non a caso ha scelto di studiare giurisprudenza per fare il magistrato.

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