martedì 16 maggio 2017
Roberto Mancini già negli anni ’90 aveva scoperto e denunciato il traffico illecito di rifiuti pericolosi. All'epoca non c'erano norme adeguate, ma lui non si fermò
Il poliziotto eroe, morto di cancro per incastrare i boss delle ecomafie
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Fu il primo, quando ancora le norme erano claudicanti, ad indagare sulla Terra dei Fuochi. Fino a morire di cancro. “Vittima del dovere”, lo hanno riconosciuto anni dopo le istituzioni. “Per fortuna è ormai finita l’epoca in cui chi indagava su questi fenomeni veniva lasciato solo”, ha detto il presidente del Senato, Piero Grasso, presentando il rapporto di Legambiente sulla criminalità ambientale. “Voglio ricordare su tutti il poliziotto Roberto Mancini - ha aggiunto -, simbolo di tutti gli uomini e le donne che nonostante le difficoltà hanno continuato a compiere il loro dovere, consci dell’importanza di quel che facevano".



Era il 30 aprile 2014 quando Mancini morì a causa di un tumore. Due anni dopo gli venne riconosciuto lo status di Vittima del Dovere. Un sacrificio estremo, che mai lo fatto indietreggiare. I veleni, i fumi tossici, le minacce, non lo avevano mai fermato. Già negli anni ’90 aveva scoperto e denunciato il traffico illecito di rifiuti pericolosi e dal 1997 al 2001 Mancini è stato impegnato come consulente per la Commissione rifiuti della Camera dei deputati. Un servizio reso sul campo, non dietro una scrivania. Ispezioni dopo ispezioni, verifiche dopo verifiche su luoghi contaminati, fino a quando Mancini non si è ammalato.


E si devono a uomini come lui i risultati di oggi. Nel primo anno e mezzo di applicazione della norma sulle ecomafie - dal 1 giugno 2015 al 31 dicembre 2016 - sono stati iscritti nelle Procure censite dal ministero della Giustizia 467 procedimenti, con 651 indagati e 17 imputati. Nel 2015, invece, i procedimenti iscritti erano stati 202, con 205 indagati e 4 imputati.
I numeri più alti riguardano i procedimenti per il delitto di inquinamento ambientale (158 nel 2016, con 237 indagati): solo nel distretto di Reggio Calabria se ne contano 20 e in quello di Roma 19. E resta il Sud l’area del Paese dove si registrano più inchieste penali per questo reato (in tutto 53 nel 2016). In molti casi gli inquirenti hanno scoperto che sono le mafie a importare dal Nord le scorie velenose.

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