mercoledì 24 marzo 2021
Nel giorno in cui il premier Draghi annuncia il viaggio a Tripoli, l’inviato del segretario generale delle Nazioni Unite ha riferito al consiglio di sicurezza. “Vige l’impunità”
L’inviato Onu in Libia, Ján Kubiš, durante l’intervento al Consiglio di Sicurezza

L’inviato Onu in Libia, Ján Kubiš, durante l’intervento al Consiglio di Sicurezza

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Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha annunciato in mattinata che si recherà in Libia il 6 e 7 aprile. Una conferma di quanto importante sia per il governo italiano il dossier libico. Domani sarà il ministro degli Esteri Luigi Di Maio a tornare a Tripoli, fra l’altro per continuare a chiedere il blocco delle partenze dei migranti via mare.

Che cosa voglia dire per gli stranieri restare in Libia senza alcuna protezione, lo ha però spiegato il nuovo rappresentante Onu a Tripoli, che davanti al Consiglio di sicurezza non ha usato il “diplomaticamente corretto”, incoraggiando la comunità internazionale a fare di più, riconoscendo i passi avanti e le speranze per il dialogo politico interno, ma smentendo chi dipinge il Paese come avviato verso il progressivo rispetto dei diritti umani fondamentali, che anzi conoscono un crescente deterioramento.

L’intervento di Ján Kubiš ha confermato quanto denunciato nel rapporto degli esperti Onu, reso pubblico una settimana fa, secondo cui l’embargo sulle armi è risultato un sostanziale fallimento e le milizie, affiliate ai vari ministeri, continuano a gestire ogni genere di affare illecito, dal contrabbando di petrolio allo sfruttamento degli esseri umani. Non è un caso che il presidente del governo transitorio transitorio abbia formato un governo con 35 esponenti di ogni partito, tribù e fazione, ma abbia tenuto per sé l’interim del potente ministero della Difesa.

Introducendo la seduta del Consiglio di sicurezza, una nota ricostruiva alcuni recenti scandali. A cominciare dalla nomina del presidente del governo provvisorio, scelto da un’assemblea di delegati chiamata Forum del dialogo, e che nei piani dovrà traghettare il Paese fino alle elezioni del 24 dicembre. La missione Onu ha raccolto voci circa “offerte di tangenti tra 150 mila e 200 mila dollari” da versare ad alcuni dei 35 delegati che si fossero impegnati “a votare per Dbeibah come primo ministro”, poi effettivamente eletto contro ogni previsione. Una vicenda su cui è stata aperta un’inchiesta a Tripoli dopo che “un membro del Forum per il dialogo libico - informa l’Onu - si è arrabbiato per aver sentito che altri delegati avevano ricevuto più soldi di lui”.

Nonostante il cessate il fuoco la missione Onu “continua a documentare uccisioni, sparizioni forzate, violenze, inclusi stupri, arresti e detenzioni arbitrarie, attacchi contro attivisti e difensori dei diritti umani e crimini ispirati dall'odio. La libertà d’espressione è compromessa. Vari gruppi armati continuano ad operare senza incontrare ostacoli, le violazioni dei diritti umani continuano nella quasi totale impunità”.

E se questo è quello che devono passare anche i cittadini libici, non è difficile immaginare cosa subiscano gli stranieri. “Sebbene il loro numero rimanga basso rispetto alla popolazione totale di migranti in Libia, il numero di migranti che tentano di attraversare il Mediterraneo è aumentato durante i primi due mesi del 2021 e rimane costante, esponendoli al rischio della morte”.

Meno di un mese fa le organizzazioni internazionali stimavano in poco più di 2mila la popolazione di migranti e profughi rinchiusi nelle prigioni ufficiali. Ma negli ultimi giorni, alla vigilia delle trattative con Paesi come l’Italia che chiedono fermare le partenze, viene catturato “un numero crescente di migranti e rifugiati”. Lo slovacco Kubiš ha riferito al Consiglio di sicurezza che “attualmente circa 3.858 migranti sono detenuti in centri di detenzione ufficiali gestiti dal Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale (Dcim) in condizioni estreme, senza un giusto processo e con restrizioni all'accesso umanitario”. Parole che strappano il velo d’ipocrisia, davanti a quanti, anche negli ultimi mesi, hanno sostenuto che la presenza delle agenzie Onu in Libia è una garanzia di rispetto dei diritti umani, con questo giustificando la cattura in mare da parte della cosiddetta Guardia costiera libica, che restituisce ai campi di prigionia i migranti intercettati. Perciò “l’Unsmil è preoccupata per le gravi violazioni dei diritti umani contro migranti e richiedenti asilo da parte del personale del Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale e dei gruppi armati coinvolti nella tratta di esseri umani”.

I regolamenti di conti interni si risolvono con il piombo o rastrellando i nemici. I diritti fondamentali non sono minimamente rispettati: “L'Unsmil continua a ricevere rapporti credibili di detenzione arbitraria e illegale, tortura, sparizioni forzate, esecuzioni extragiudiziali, rifiuto di visite da parte di famiglie e avvocati e privazione dell'accesso alla giustizia”. Secondo il rappresentante del segretario generale, “sono più di 8.850 le persone detenute arbitrariamente in 28 carceri ufficiali sotto la custodia della polizia giudiziaria, con una percentuale stimata tra il 60 e il 70 per cento in custodia cautelare”. Inoltre, “circa 10 mila persone sono detenute in centri di detenzione sotto l'autorità di milizie e gruppi armati. Si stima che tra essi vi siano circa 480 donne, di cui 184 non libiche, più di 63 minori e bambini”.

L’urgenza però sembra essere un’altra. Al Palazzo di vetro lo sanno: “Essendo la sua principale fonte di entrate e il più grande datore di lavoro, il settore petrolifero richiede supporto e investimenti continui”. E sembra essere questa la principale posta in gioco.

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