![Esportiamo ancora armi verso i Paesi in guerra Esportiamo ancora armi verso i Paesi in guerra](https://www.avvenire.it/c/2018/PublishingImages/feb3061392c944eeaeaeeb5659fa5d19/bomba13_62314284.jpg?width=1024)
Per il terzo anno consecutivo calano le esportazioni di armi da guerra italiane. Ma non è detto che sia una buona notizia, perché le consegne ai Paesi in guerra continuano, specie nelle aree dalle quali si registra la partenza del maggior numero di migranti e profughi. Al contrario la Casa Bianca ha ordinato di ridurre di quasi un quarto i contratti con l’Italia.
Il giro d’affari mostra nel 2017 una diminuzione rispetto all’anno precedente (-9,3%). Si passa da 1,3 miliardi di euro del 2014 a 1,1 miliardi del 2017, in contrazione anche rispetto agli 1,2 miliardi di euro del 2016. I dati, tuttora provvisori per l’anno 2017, sono stati resi pubblici da Istat ed Eurostat e presentati ieri in anteprima nazionale da Opal, l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le Politiche di sicurezza e di Difesa.
I diagrammi rivelano il permanere di consistenti forniture militari a Paesi in guerra (come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, attivi nel conflitto in Yemen), mentre proseguono le spedizioni di armi semiautomatiche alle forze dell’ordine e a corpi di sicurezza di regimi autoritari noti per le reiterate violazioni dei diritti umani, tra cui Egitto, Turchia, Oman e Thailandia. «Da diversi anni – osserva Piergiulio Biatta, presidente dell’Opal di Brescia – portiamo all’attenzione nazionale queste informazioni: va però notata la scarsa attenzione di gran parte delle forze politiche alle problematiche connesse alle esportazioni di armi e alle violazioni dei diritti umani». Il decremento complessivo è at- tribuibile soprattutto alla riduzione di consegne verso il Medio Oriente (-32,5%), «zona verso cui nel 2017 sono state comunque esportate forniture, soprattutto di tipo militare, per quasi 109 milioni di euro», spiega Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio.
![](https://www.avvenire.it/c//2018/PublishingImages/feb3061392c944eeaeaeeb5659fa5d19/exportBomb_62313819.jpg?width=620)
Nel 2016 l’export per quest’area aveva registrato invece un cospicuo incremento, superando i 161 milioni di euro. A preoccupare restano più di tutte le zone di crisi. Soprattutto quelle che producono un alto numero di migranti e profughi. Anche in questo caso lo studio smaschera l’ipocrisia delle politiche contro i migranti: da una parte si restringono le possibilità di fuga verso l’Europa, dall’altro si alimentano le cause degli esodi forzati. Secondo Opal «persistono, e in alcuni casi aumentano, le esportazioni di armi e munizioni verso zone di tensione del mondo come l’Africa settentrionale (oltre 30 milioni di euro nel 2017, più che raddoppiate rispetto ai 12 milioni del 2016) e l’Africa subsahariana (11,3 milioni di euro nel 2017, in aumento a fronte degli 8,6 milioni del 2016)». Il mercato globale, di quelli che con indulgenza lessicale vengono classificati come “sistemi per la difesa”, è un labirinto di interessi contrapposti, partite geopolitiche, pressioni regionali combattute prima con i contratti (favorendo o danneggiando un determinato Paese esportatore) e poi davvero con il piombo. Perciò il calo che più risalta è quello verso gli Usa, il principale acquirente mondiale di armi di ogni genere.
La Casa Bianca ha tagliato del 22,7% gli acquisti made in Italy, dopo che nel 2016 avevano toccato il record storico di 343 milioni di euro. Anche in questo caso i numeri vanno interpretati. «Gli annunci di possibili restrizioni sulle armi da parte dell’amministrazione Obama a seguito di efferate sparatorie ( mass shooting) hanno avuto l’effetto di incrementare le vendite di armi mentre – si legge nel dossier – gli annunci favorevoli alla diffusione delle armi da parte del presidente Trump hanno sortito un effetto rassicurante sull’opinione pubblica ». In altre parole non vi è stata la corsa all’approvvigionamento perché con Trump non vi è rischio che le armerie chiudano le saracinesche.
Ma gli episodi di cronaca nera, che coinvolgono nel nostro Paese i legali detentori di armi, suscitano domande riguardo al mercato interno. «Non è una questione di poco conto, se pensiamo che recentemente il governo ha raddoppiato il numero di “armi sportive”, tra cui figurano i micidiali AR-15 che sono i fucili semiautomatici più usati nelle stragi negli Usa», rilevano da Opal. Oggi con una licenza per “uso sportivo” si possono detenere 12 di questi fucili con caricatori fino a 10 colpi. I possessori di questo genere di “patente” sono quasi 585mila, «di cui la stragrande maggioranza – si legge nel dossier – non pratica alcuna disciplina sportiva».