Dalla cucina arriva un buon odore di sugo. Pasta al tonno, filetti di sogliola in umido, pomodori alla pizzaiola e patate fritte il menu del giorno. Dalla sala dei giochi un vociare allegro di bambini. E dall’esterno il rumore tipico di muratori al lavoro. A guardarla così,
Casa Ruth ha tutta l’aria di un condominio come ce ne sono tanti. Ci si arriva per strette viuzze dai balconi fioriti a gerani, costeggiando il muro di cinta dell’oratorio della parrocchia di San Nicolò. Fuori l’edificio è avvolto, quasi incartato, da un’impalcatura per il rifacimento dell’intonaco. Ma dentro – al piano terra dove c’è la spaziosa sala comune con tivù e giochi per i bambini, e poi su per le scale degli altri due piani, nei corridoi e nelle stanze a due o tre lettini, nel refettorio, in cucina e negli uffici del personale di assistenza – tutto è al suo posto. Pulito, ordinato. Proprio come se questa fosse una casa qualsiasi. Abitata da una famiglia normale.E infatti Casa Ruth è stata pensata e voluta così. "Casa-famiglia" non solo nel nome, ma nei fatti. Nata su iniziativa della Caritas diocesana di Ales-Terralba e con l’aiuto dell’8xmille, per ridare il senso della famiglia a donne e bambini passati attraverso la più terribile delle esperienze: la violenza fisica o sessuale.Casa Ruth è la terraferma dopo il naufragio. Lo scoglio a cui aggrapparsi per ripartire e cercare di rimettere insieme i cocci di un’esistenza ingiustamente violata. "Casa famiglia" e "casa scuola" insieme, perché – come spiega Gabriella Testoni, la responsabile – «qui le mamme imparano a condurre una famiglia. Prima, infatti l’hanno mai potuto fare, proveniendo da situazioni estremamente degradate».Il fenomeno è più esteso di quanto si immagini. «Giungono da tutta la Sardegna – dice monsignor Angelo Pittau, direttore della Caritas diocesana e parroco di San Nicolò, a Guspini – alla fine di un "viaggio agli inferi" che ha come tappe fisse l’ignoranza, la povertà, la disoccupazione, l’alcolismo, a volte anche la droga. Ne abbiamo preso atto e abbiamo fondato la Casa».Per riuscirci, don Angelo, che non è più giovanissimo ma ha l’entusiasmo di un ragazzino, ha saputo cogliere tutte le occasioni che gli si sono presentate. Come del resto ha fatto sempre, fin da quando negli anni ’60 era
fidei donum in Vietnam e durante il conflitto si offriva come guida agli inviati di guerra italiani (Egisto Corradi e Oriana Fallaci, tra gli altri) per procurare il riso ai bambini del suo villaggio.«L’edificio lo ha donato alla parrocchia una signora cui era morto un figlio. La diocesi ha messo una parte dei fondi, il resto lo ha fatto l’8xmille: 150mila euro in tre anni. Un contributo determinante». Così da un paio d’anni (la casa funziona del 2009) altri figli vengono aiutati a "rinascere". Casa Ruth si avvale di un’equipe interna di 10 persone, di alcuni specialisti esterni e ha persino la certificazione di qualità Iso 9001. Attualmente la struttura (360 metri quadri su tre piani) ospita 11 persone, cinque mamme e sei bambini. E mentre le donne compiono un percorso psicologico e pratico che le abilita prendersi cura dei figli, a pulire, stirare, cucinare, i bambini vanno a scuola, sono aiutati a fare i compiti, giocano con i propri coetanei, frequentano la parrocchia e l’oratorio. Proprio secondo i ritmi di una normale famiglia. «A poco a poco – dice Gabriella Testoni – li aiutiamo a riprendere il filo della sana quotidianità. E quando vanno via dopo un periodo che può durare anche più di un anno, continuiamo a seguirli, in collaborazione con i servizi sociali pubblici».Storie che si intrecciano tra speranza e rinascita. Così, come avviene anche nell’altro fiore all’occhiello della diocesi di Ales-Terralba.
Casa Betania, dove sono ospitati 15 malati psichiatrici. Una struttura, anch’essa finanziata in parte dall’8xmille, all’avanguardia nella cura di persone che prima di arrivare in questo casolare circondato da tre ettari di agrumeto, orti e pascoli, erano considerate da tutti autentici "relitti" umani. Giardinaggio, musicoterapia, piscina (in una vicina struttura comunale), le attività che scandiscono le loro giornate. E la rinascita ha per esempio il volto di Giuseppe, che aveva tentato il suicidio dopo la morte della madre, ed era stato raccolto in fin di vita. «Quando è arrivato da noi – dice la direttrice, Teresa Murgia – era quasi completamente ingessato. È guarito e ha ritrovato la gioia di vivere occupandosi di una pecora che gli avevamo donato quasi per caso». Ora
Casa Betania ha un gregge di 18 capi e Giuseppe è il pastore.Il diretto interessato annuisce sorridente. Poi si offre come guida per visitare l’agrumeto e gli orti, dove gli ospiti, con l’aiuto del personale, coltivano peperoni, melanzane, fragole. Il sole danza tra i filari, il piccolo gregge si muove in lontananza. Anche Giuseppe e gli altri suoi compagni di Casa Betania – come le mamme e i bambini di
Casa Ruth – hanno ritrovato una famiglia. Anche grazie all’8xmille.