martedì 9 aprile 2013
​Riconosciuti nel 2006, sono spariti dai regolamenti. Don Preite (Centro Redentore Salesiani Bari): ragioni ideologiche dietro la scelta. Ma l’assessore Gentile: da noi molti aiuti per attività sportive
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Nel quartiere Libertà di Bari, 50.000 residenti e un mare di problemi, insegnare la solidarietà per combattere l’esclusione causata dal disagio, dalla violenza e dalla sopraffazione, non può essere un optional. Perché si tratta di un’area che presenta forti problematiche sociali e dove, quindi, l’impegno educativo dovrebbe costituire la regola. A prescindere dalle ideologie. «Eppure credo siano proprio ragioni ideologiche a impedirci di essere sostenuti dalla Regione Puglia». Parla a carte scoperte don Francesco Preite, direttore dell’Oratorio centro giovanile Redentore Salesiani di Bari; struttura che, assieme a scuole, associazioni e cooperative, sfida ogni giorno degrado e povertà.Il paradosso è che proprio la Puglia con la Legge regionale 19 del 2006, che pure presenta non pochi aspetti di grande interesse a sostegno di fasce disagiate della popolazione, promuove e riconosce gli oratori. L’articolo 21 del provvedimento denominato Disciplina del sistema integrato dei servizi sociali per la dignità e il benessere delle donne e degli uomini di Puglia, recita: «La Regione riconosce la funzione sociale delle attività di oratorio promosse dalle parrocchie e dagli enti ecclesiastici della Chiesa cattolica, nonché dagli enti delle altre confessioni religiose», sia per quel che riguarda «la programmazione delle priorità di inclusione sociale», sia per la parte che investe la «fase di attuazione, nell’ambito di stesura del Piano sociale di zona da parte degli enti locali, che possono stipulare convenzioni con le parrocchie e gli enti suddetti, allo scopo di valorizzare la funzione sociale, riconoscendo le spese per lo svolgimento delle attività più tipiche degli stessi, laddove tali attività siano coerenti con gli obiettivi del Piano stesso». Insomma, la legge sembra venire incontro alle attività dell’Istituto Salesiano fondato a Bari nel 1905 dal beato Michele Rua e che conta 500 ragazzi iscritti. Tranne che per un particolare non proprio marginale: «Nel regolamento regionale che dà applicazione alla legge – denuncia don Preite –, il termine oratorio sparisce, non viene più menzionato e, di fatto, viene escluso dal sistema del welfare pugliese». Pertanto «gli oratori, che contribuiscono alla crescita del bene comune offrendo volontari, spazi, giochi per tanti ragazzi e giovani specialmente in territori di disagio, per la Regione Puglia non esistono». Fatta eccezione per l’unica possibilità di finanziamento previsto dalle legge: gli interventi per l’attività sportiva e motoria. La replica per la giunta guidata da Nichi Vendola è dell’assessore regionale al Welfare, Elena Gentile: «Credo che le parole del direttore dell’Oratorio del Redentore siano ingenerose. La Regione non può regolamentare gli standard organizzativi degli oratori né normarne responsabilità e funzionamento. I finanziamenti vengono assegnati attraverso bandi che prevedono spazi di manovra rigorosi in un momento, tra l’altro, in cui la spesa sociale è fortemente in affanno. È finito il tempo – incalza l’assessore – in cui un sacerdote invia la sua lettera a un ente pubblico per poi riceverne un finanziamento. Esistono procedure tecniche e amministrative da rispettare. Nessuno impedirà agli oratori di partecipare ai bandi della Regione. Né di ottenere aiuti dagli altri enti locali ai quali trasferiamo fondi. Siamo disponibili comunque a discuterne. Del resto, abbiamo già finanziato molte strutture sportive parrocchiali».Ma l’oratorio «non è un semplice centro sportivo», ribatte don Preite che lamenta il fatto di non aver mai visto l’assessore regionale a un tavolo sul welfare promosso dai Salesiani del Redentore. «Ci stanno a cuore i minori a rischio, chi ha i genitori in carcere, chi non va più a scuola, chi può diventare manovalanza della criminalità. Ecco perché, oltre ai campi da calcio o basket, ci servirebbe un aiuto per organizzare il doposcuola e per formare educatori di qualità, perché il volontario non si improvvisa».
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