lunedì 18 marzo 2024
La mostra "Supereroi" racconta l'orrore della pedopornografia e come può essere combattuto. A cominciare dall'indagine che tre anni fa sgominò un vasto giro legato a quell'abominevole traffico
Il sindaco di Bergamo, Gori in viista alla mostra

Il sindaco di Bergamo, Gori in viista alla mostra - Web

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Come si fa a raccontare l’orrore della pedopornografia? Le parole non bastano, le immagini oscene finirebbero per violare nuovamente corpicini già abusati e umiliati. E allora non resta che l’arte. A Bergamo è approdata la mostra fotografica itinerante “Supereroi”, realizzata dagli stessi uomini della Polizia postale che tre anni fa smantellarono un vasto giro di traffico di immagini pornografiche riguardanti centinaia di minori. Perlopiù si trattava di bambini, a volte anche piccolissimi: «Alcuni avevano meno di sei mesi» ricorda Alice, nome in codice di una giovane agente infiltrata nelle chat dei pedofili.
Verità indicibili, che spesso costringono gli stessi poliziotti a rivolgersi allo psicologo per elaborare meglio ciò che vedono durante gli scellerati scambi in Rete. C’è anche chi, dopo anni di indagini sul fondo di questo pozzo nero, ha mollato tutto e si è trasferito sulle montagne dell’Alto Adige.
Da questi vissuti tormentati è nato un racconto iconografico, liberamente ispirato al dolore delle giovani vittime, che a volte vedono davvero i poliziotti come una sorta di Batman e Iron Man che arrivano a liberarli. Accompagnate da brevi frasi, nella mostra sfilano istantanee di sguardi, ombre, pugni chiusi e piedini incatenati. Simboli che rimandano a una realtà parallela e tremenda. «Vi assicuro che le foto scambiate avevano contenuti molto più crudi e violenti, in alcuni casi abbiamo assistito anche a scene di tortura» sospira la poliziotta, che proprio durante le indagini scoprì di essere incinta. «Diventare madre ti cambia la prospettiva, certe cose le vivi con maggior emotività rispetto a prima, anche se sei addestrata. Per non lasciarci sopraffare ci siamo dati il cambio spesso: ogni tanto stacchi qualche giorno, oppure ti occupi degli aspetti più burocratici. Altrimenti è impossibile andare avanti».
Addentrarsi nei meandri più oscuri del Web lascia schizzi di fango persino nella testa dei veterani. Anche perché l’orco è più vicino di quanto si immagini. «Spesso è un parente, oppure un vicino di cui ti fidi – spiega Alice – Perché questo materiale non arriva solo dall’estero, da Paesi poveri, ma purtroppo viene prodotto anche in Italia. Abbiamo notato ad esempio che dopo il Covid gli scambi di materiale erano aumentati, mentre ora sono tornati su livelli abituali. I bambini rimasti a casa da scuola per così tanto tempo sono rimasti esposti alle insidie dei pedofili, che se li sono visti affidare da genitori ignari del pericolo. In molti casi queste persone non solo hanno commesso abusi, ma hanno anche fotografato e filmato le loro vittime, per poi magari vendere le immagini e guadagnarci». Il vergognoso commercio avviene via Telegram, su gruppi che chiudono rapidamente e riappaiono con altri nomi. «È un sistema di scatole cinesi». I pagamenti si effettuano tramite bitcoin, che non sono tracciabili. Gli strumenti digitali favoriscono anonimato e impunità, almeno finché gli sforzi della polizia non riescono a fermare almeno qualche predatore. «Riuscire a infiltrarsi non è facile – spiega il sostituto commissario Michele Attolico – perché in questi gruppi si arriva solo su invito, i membri si nascondono dietro dei nickname. E poi, per metterti alla prova, ti chiedono materiale. A quel punto noi inviamo qualche file con un trojan (programma spia, ndr) incluso: in questo modo risaliamo alle loro generalità e interveniamo».
Le inchieste smascherano personaggi insospettabili: lavoratori, professionisti, tranquilli pensionati. Persino padri di famiglia. «Dopo l’attività da infiltrata ho partecipato agli arresti, e devo dire che senti la soddisfazione di avere fatto la cosa giusta – racconta Alice -. In alcuni casi c’erano bambini in casa, forse li abbiamo salvati. Vederti di fronte gli indagati in carne ed ossa non ti stupisce, perché noi abbiamo già imparato a conoscerli come sono veramente, dietro la maschera dell’apparenza». Messi di fronte alle loro responsabilità non negano, ma si giustificano. «Fanno passare queste cose per normali inclinazioni sessuali – osserva ancora Attolico – dicono che non fanno del male ai bambini, a volte spiegano che sono consenzienti. Ma come può un bambino capire?». Per la verità si fatica a comprendere anche da adulti. È ancora Alice, protagonista del viaggio nel paese degli orrori, a decifrare la logica di gelida semplicità annidata nella testa dei consumatori-spacciatori di pedopornografia online: «Per loro è come scambiarsi figurine».

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