
Ansa
La maturità va bene così com’è? Va cambiata? Ha senso mantenerla? Bisogna abolirla?
Ogni anno, quando ci si avvicina all’Esame di Stato, il dibattito si riaccende. È un tema molto caldo, perché tocca corde profonde. Tutti ricordano la propria maturità: quella sensazione di qualcosa che finisce per sempre e insieme di un nuovo inizio. La nostalgia per una fase che si chiude, e quel desiderio di futuro, quell’orizzonte sconfinato dove tutto sembra ancora alla tua portata.
La maturità è un rito di passaggio decisivo, ha qualcosa di epico.
Per questo, caro maturando, cara maturanda, nel giorno in cui la tua maturità inizia, voglio rivolgerti un augurio attraverso quattro personaggi a loro modo epici.
Il primo è Ettore, l’eroe troiano dell’Iliade. Ettore che sa di perdere contro Achille, l’invincibile guerriero acheo che, per di più, ha dalla sua parte la dea della guerra, Atena. Ettore si trova di fronte ad Achille; ha già scagliato la sua lancia, il colpo non è andato a segno. Ma, nonostante sia sfavorito, fa un gesto di puro eroismo: sguaina la spada e attacca per primo. Gli eroi veri, del resto, non sono superuomini baciati da un destino perfetto ma comuni mortali come ciascuno di noi, che, anche nelle condizioni più difficili, ce la mettono tutta per dare il meglio. Che accettano la sfida, che non si tirano indietro, che lottano fino in fondo. Ti auguro che questa maturità sia per te una sfida a viso aperto, in cui mettere tutto te stesso; che sia un allenamento potente per la tua vita futura, nella quale non ti troverai mai nelle condizioni ideali, ma resterai sempre libero di fare una scelta: dare il meglio che puoi. È questo l’eroismo di ogni giorno. Me lo diceva sempre il mio allenatore di ciclismo: devi scattare alla fine della salita, quando sei più stanco, perché è lì che fai la differenza. Così trasformi la fatica in esaltante piacere, la difficoltà in traguardo possibile.
Il secondo personaggio è Ulisse, nella sua versione dantesca. L’Ulisse che va oltre le colonne d’Ercole, che lascia il già noto per avventurarsi nell’«alto mare aperto», che esorta i compagni con quei versi tra i più noti della letteratura mondiale: «Fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtute e canoscenza». Che la maturità sia per te un momento in cui scoprire una volta di più ciò che ti appassiona e per condividerlo – perché no? – anche con la commissione d’esame. È la passione che ci accende e dà senso alla nostra vita. Sono i desideri più autentici a darci la forza per andare oltre, per elevarci, per non essere bruti, per conoscere, per diventare migliori. Senza amore non c’è conoscenza: si conosce davvero solo ciò che si ama. Segui la passione, non l’opportunismo. Metti il desiderio davanti al profitto. Segui i tuoi sogni più veri, prima che la convenienza. Sii un po’ folle come Ulisse, getta il cuore oltre l’ostacolo; accogli i tuoi limiti e abbracciali, ma cerca anche di capire quali limiti sono solo nella tua testa e possono perciò essere superati.
Il terzo personaggio, tragicamente epico, è il don Ferrante manzoniano, che muore di peste negando l’esistenza della peste stessa, dicendo che si tratta di un male oscuro proveniente dagli astri. Che la maturità sia per te l’occasione di mettere a frutto il tuo senso critico e la tua capacità di rendere ragione di ciò che affermi. Un cervello che ragiona a partire dalla realtà, che sa approfondire le cose, che come invitava a fare Manzoni, pensa prima di parlare, è qualcosa di molto prezioso in un mondo di slogan imperanti, di verità affermate di pancia per il tempo di un reel, di complottismi di ogni tipo. Che la tua cultura non sia la vuota erudizione di don Ferrante. Un erudito è uno che conosce molte nozioni, ma non sa utilizzarle: uno con la testa piena di idee, ma che resta un povero analfabeta funzionale. Ti auguro di non essere un erudito ma un intellettuale: una persona per cui la cultura è uno strumento concreto per comprendere la realtà, per incidere in essa. Per un erudito la cultura è egolatria, affermazione di sé; per un intellettuale vero la cultura è sempre dono per altri.
Proprio su questo vorrei concludere: il dono. Il quarto personaggio, epico per alcuni, controverso per altri, è il poeta Gabriele D’Annunzio, uomo degli eccessi, ma che nel Vittoriale, la sua casa museo, fece incidere questa frase: «Io son quel che ho donato». Credo che il senso più profondo della maturità sia proprio questo: capire che sei chiamato a trasformare tutto ciò che hai imparato in questi anni di scuola in dono per chi è intorno a te. Perché il mondo ha proprio bisogno di te, del tuo contributo, che solo tu, unico e irripetibile nella storia dell’umanità, puoi dare. E se scopri qual è quel contributo, e se lo doni con gioia, hai trovato la strada della felicità.
Insegnante e scrittore
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