venerdì 10 settembre 2021
Per trasformare i velivoli da sorveglianza a controllo remoto in bombardieri necessari 59 milioni. Leu: troppe vittime civili. M5s: hanno già fallito in Afghanistan. Pd: scelta ancora da discutere
Un drone MQ-9 Reaper statunitense al momento del lancio di un missile

Un drone MQ-9 Reaper statunitense al momento del lancio di un missile - ANSA

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Armare i droni italiani da ricognizione per trasformarli in veri e propri bombardieri. Il progetto del ministero della Difesa, portato avanti senza clamore, solleva interrogativi là dove dovrebbe essere analizzato e discusso, ovvero in Parlamento. Il M5s esprime «perplessità», Leu «preoccupazione», il Pd assicura che «il tema deve tornare in commissione Difesa».

L’annuncio della testata specializzata Rivista italiana difesa, rilanciato martedì 7 settembre anche da Avvenire, arriva dal Documento programmatico pluriennale 2021-23 del ministero della Difesa. L’Aeronautica possiede sei Reaper MQ-9, dell’americana General Atomics. La possibilità di armare i Reaper ("mietitori", ndr) è nella sezione sui nuovi programmi di acquisizione: si parla di di «adeguamento del payload (carico utile, ndr) «in linea con l’output capacitivo ed operativo richiesto» a garanzia di «incrementali livelli di sicurezza e protezione» e «capacità di difesa esprimibile dall’aria». Tecnicismi, per dire che si vuole trasformare droni di sorveglianza in armi a controllo remoto.

Secondo Rete Italiana pace e Disarmo «il programma sarebbe finanziato per 59 milioni di euro in 7 anni, con un fabbisogno complessivo di 168 milioni». È «un sistema d’arma che ha cambiato drasticamente il volto attuale della guerra, rendendolo più complesso, opaco e rischioso soprattutto per i civili». Quattro i rischi: «Abbassare la soglia dell’uso della forza militare; trasferire rischio e impatto della guerra dai soldati ai civili; espandere il ricorso a "uccisioni mirate" fuori da ogni giurisdizione; alimentare il falso mito della "precisione"», visto l’alto numero di civili innocenti uccisi. Ce n’è abbastanza per chiedere al Governo «di fornire chiarimenti sulla decisione della Difesa» e al Parlamento «un dibattito urgente».

Richiesta che trova sponde nella maggioranza. Per Erasmo Palazzotto - Leu, commissione Esteri alla Camera, «la notizia è preoccupante». Altro che «soluzione alle perdite di vite umane nei conflitti: un operatore umanitario italiano, Giovanni Lo Porto, è stato ucciso da droni americani in Pakistan. Danni collaterali li chiamano, ma sono vite umane». Leu chiede di discutere la scelta della Difesa «che non è tecnica, ma richiede una riflessione etica e politica».

«Perplessa» Daniela Donno - M5s, Commissione Difesa al Senato: «È uno strumento militare preminentemente offensivo che non risponde alle esigenze strategiche dell’Italia, costituzionalmente contraria alla guerra. I droni armati cambiano la postura militare di una nazione, in Germania è uno degli argomenti più caldi della campagna elettorale. Il M5s ne chiederà conto in Parlamento nelle prossime settimane». Scelta sorpassata, aggiunge Gianluca Ferrara - M5s, commissione Esteri al Senato: «Una decisione del 2010, governo Berlusconi, nel pieno delle fallimentari guerre in Afghanistan e Iraq che hanno causato stragi di civili. Oggi l’Italia deve investire in cyber-difesa e intelligence, non in micidiali macchine che trasformano la guerra in un videogioco che sfugge al controllo del Parlamento».

«Un tema delicato», dice Roger De Menech - Pd, commissione Difesa, che precisa di parlare «a titolo personale»: «La programmazione della Difesa quando diventa operativa torna in commissione e sulle singole schede va espresso un parere. Ci sarà occasione di discuterne». E la spesa per le armi «per il Paese deve essere indirizzata al mantenimento degli equilibri di pace». Premesso ciò, «l’Italia non può rimanere indietro nello sviluppo tecnologico. In tutti i settori, non solo nella Difesa. Nell’era digitale il controllo da remoto è un fattore di innovazione». Anche se si tratta di montare missili su droni prodotti all’estero.


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