giovedì 16 gennaio 2025
Parla l'esponente di Libertà Eguale, il movimento che sabato 18 gennaio a Orvieto vuole rilanciare il rapporto tra cattolici liberali e riformisti
Tonini: «I riformisti e i cattolici insieme per proteggere la democrazia»

IMAGOECONOMICA

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Libertà Eguale a Orvieto, sabato, si ritroverà per il 25esimo anno. Un quarto di secolo di impegno promosso da cattolici, insieme a riformisti, per promuovere il dialogo e la democrazia dentro il centrosinistra e il confronto sulle riforme con il centrodestra. «Un crogiuolo promosso da alcuni di noi, dopo la caduta del Muro di Berlino: cattolici, esponenti del Pci vicini alla componente “migliorista” del Pci, come Enrico Morando, Claudia Mancina e Claudio Petruccioli, ed esponenti socialisti come Gigi Covatta e Luciano Cafagna, che purtroppo non ci sono più», spiega l’ex senatore del Pd, Giorgio Tonini. Che vede «molti punti in comune» con la contemporanea iniziativa milanese di Comunità democratica, con cui ci sarà un video-collegamento reciproco.

Che cosa è stata e che cosa ancora è Libertà Eguale?

È stata un’esperienza proficua di contaminazione fra culture diverse del centrosinistra. Ma oggi è soprattutto un luogo di difesa della democrazia. Ed è un primo punto in comune con l’iniziativa di Milano.

Rosy Bindi ha detto però che un collegamento fra le iniziative di Orvieto e di Milano, avendo poco in comune, ha senso solo come «rivendicazione correntizia».

Noi crediamo invece che i punti in comune vi siano. Un primo è quello della democrazia, al centro fra l’altro della Settimana sociale di Trieste. Tema tornato di grande attualità e purtroppo non scontato, guardando allo scenario internazionale. C’è l’esigenza di una politica che abbia un pensiero, in grado di fronteggiare le sfide epocali, che non si limiti al “giorno per giorno”. Con umiltà, senza la pretesa di avere la verità in tasca, come ha ben spiegato Prodi. Ma democrazia vuol dire anche pace. Lo vediamo: i Paesi in cui manca la democrazia sono gli stessi che minacciano la pace. L’Europa è nata proprio per questo, per affermare che non c’è pace senza democrazia, i due temi sono molto collegati.

L’Europa, quindi, al centro dell’impegno dei cattolici?

Certo. Mi hanno colpito le parole di Mattarella per un rafforzamento della democrazia in Europa e un allargamento del progetto che comprenda anche la difesa comune. Tema che si intreccia con quello del debito comune. C’è bisogno di un salto di qualità e i cattolici sono chiamati ad esserne i protagonisti.

Ottanta anni dopo torna di attualità il radiomessaggio di Natale di Pio XII nel 1944, incentrato proprio sulla democrazia e la pace.

È il punto centrale. Il dialogo democratico come premessa della pace. Lo diciamo pur credendo nel bipolarismo. Un bipolarismo che non si riproponga di distruggere il nemico, ma di dialogare con l’avversario. Fra l’altro Romano Prodi ha dimostrato che l’ultima volta che il centrosinistra ha vinto lo ha fatto puntando sul centro, convincendo gli indecisi.

Ma il bipolarismo di De Gasperi e Moro vedeva cattolici e comunisti in competizione, non alleati.

È vero, ma erano tempi diversi. Il mondo era diviso in due. Oggi è diverso. Oggi siamo nell’era post-ideologica e occorre lavorare per superare gli steccati.

Su quali fronti?

Ne vedo due. L’Europa, innanzitutto. Meloni su questo sembra aver fatto passi avanti, ma ha ancora delle ambiguità. E poi le riforme. Noi siamo impegnati a promuovere un’idea diversa di premierato, che sia condivisa. Ma anche sull’autonomia differenziata, dopo i paletti posti dalla Consulta si apre un terreno di dibattito aperto. In fondo il tema fu posto dalla sinistra con la riforma del Titolo V. Ora va riempito di contenuti.

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