mercoledì 2 gennaio 2019
Partito per l’Africa per specializzarsi, ha capito di dover restare per prendersi cura dei tanti bisogni di quella terra
Il professor Aldo Morrone con alcuni giovani assistenti locali

Il professor Aldo Morrone con alcuni giovani assistenti locali

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Due rette parallele non s’incontrano mai. In geometria questo è un principio fondamentale. Ma che non si applica alla vita. La prova è tutta nell’esperienza del professor Aldo Morrone, sessantaquattro anni e oltre trenta spesi per curare i più deboli e bisognosi. Infettivologo di fama mondiale, da Roma, dall’Istituto San Gallicano, di cui è direttore scientifico, ha tracciato la sua retta che è arrivata fino ad Addis Abeba, il nuovo fiore, la capitale dell’Etiopia, là dove si è mossa secoli fa la civiltà umana. Già, l’Etiopia, un Paese in forte crescita, dove grandi, “violente” le definisce Morrone, restano le contraddizioni.

Qui vanno di moda le grandi opere, la più mastodontica è la Grand Ethiopian Renaissance Dam, cioè la Grande Diga del Rinascimento Etiope: un ciclopico muraglione alto 175 metri e largo 1.800 lo sta costruendo la Salini Impregilo - che sbarrerà il Nilo Azzurro prima di entrare in Sudan, formando un bacino di oltre 1.500 chilometri quadrati ( cioè come mezza Valle d’Aosta). «Poi ci sono le zone rurali, i vil- laggi con le capanne fatte di fango e paglia, dove manca l’elettricità, l’acqua potabile, il riscaldamento, dove si vive come nel Medioevo», racconta Morrone. È qui che alla fine degli anni Ottanta il giovane medico, chiamato da un collega per la sua specializzazione in malattie infettive come la lebbra, fa il suo primo viaggio. «Ero stato prima in India, ma è stata l’Etiopia a cambiarmi la vita».

Va al nord, nell’area del Tigrai, al confine con l’Eritrea. La guerra tra i due Paesi tra il 1998 e il 2000 provocherà migliaia di morti e un’odissea di profughi. Ma Morrone decide che è qui che vuole operare. «Ma in modo organico, strutturato – racconta – perché l’aiuto temporaneo è fine a se stesso». Allora si mette a cercare contatti con il governo locale insieme ad un giovane biologo, Tedros Adhanom Ghebreyesus (destinato a diventare Ministro della Salute e oggi è il nuovo direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) e pochi anni dopo nasce il primo ospedale nella cittadina di Sheraro.

Là dove tre donne su cinque morivano mentre davano alla luce i propri bambini in capanne fatiscenti. «Da tre anni non è più morta nessuna donna, nessun neonato», dice con un sorriso pieno di soddisfazione Morrone. Che pure ricorda: «Ho ascoltato in questi anni storie incredibili di sofferenza, ho cercato di comprendere meglio il senso di questa straordinaria umanità dolente ma sempre piena di speranza e che noi invece spesso consideriamo come pericolosi invasori». Già, peccato che non lo sono affatto, non hanno più interesse a fuggire. «Se guarda le statistiche del Viminale – spiega il medico – dall’Etiopia non ci sono più immigrati perché li aiutiamo a non avere più bisogno d’aiuto. Perché nessun uomo o donna abbandonerebbe mai la propria terra se vivesse in condizioni di vita accettabili».

Una sfida che si può vincere. «I sorrisi degli uomini, delle donne e dei bambini mi raccontano ogni giorno la passione per la vita – racconta Morrone – e qui in questa parte del mondo c’è tanta voglia di vivere, davvero». Morrone racconta anche la sua ultima fatica, il Congresso internazionale di dermatologia, Skin on the move, ovvero “Pelle in movimento”, che nei giorni scorsi si è svolto tra Addis Abeba, Mekelle e Axum. Dove proprio la pelle è un «elemento in movimento» tra Nord e Sud del mondo e si rivela un importante campanello d’allarme per numerose malattie che possono giungere oggi facilmente anche in Europa: i vettori che le trasmettono, mosche e zanzare, possono infatti arrivare attraverso le merci o il trasporto aereo.

Ad esempio, chiarisce Morrone, «ebola si può diagnosticare precocemente dalla presenza di particolari lesioni cutanee, e la stessa cosa vale per l’infezione da virus Zika, per la lebbra e la malaria. Basta cioè una semplice lente, unita però a tanta competenza, per fare diagnosi precoci di queste gravi malattie». Quella stessa lente con cui trent’anni fa il professor Morrone mise a fuoco la sua retta per l’Africa, senza essersene mai pentito.

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