domenica 28 agosto 2022
Il segretario dem a tutto campo dal caro-gas allo sprint elettorale: «All'estero aleggia l'incubo del 2011. Con questa legge elettorale non c'è pareggio. Diritti civili e sociali sono complementari»
Enrico Letta, segretario del Pd

Enrico Letta, segretario del Pd - Ansa

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Segretario Enrico Letta, partiamo dalla stretta attualità: si voterà sotto la nube nera del caro-gas: cosa deve fare il governo in questi giorni, insieme alle forze parlamentari?

La nube nera del caro-gas l'ha portata Putin con una guerra feroce a un Paese sovrano. Oggi è la prima emergenza nazionale. Il Pd ha proposto 5 azioni immediate: primo, un tetto europeo al prezzo del gas; secondo, per 12 mesi, un regime di prezzi amministrati per l’energia elettrica con il disaccoppiamento tra fonti fossili e rinnovabili; terzo, il raddoppio del credito d’imposta per gli extra-costi energetici delle imprese; quarto, un nuovo contratto “bolletta luce sociale” per microimprese e famiglie con redditi medi e bassi; quinto, un grande piano per le rinnovabili e il risparmio energetico. Sul disaccoppiamento proprio da ieri la Germania sembra voler procedere nella stessa direzione. Quanto al governo, sono convinto che interverrà con efficacia e auspico che accolga tutte o alcune delle nostre proposte. Noi come sempre lo sosterremo con lealtà. Ma chiedo: con che credibilità chi, in spregio a serietà e senso dell'interesse nazionale, ha fatto cadere Draghi, oggi gli intima di agire? La risposta la diano gli elettori.

E sui bivi secchi, come i rigassificatori, il Pd da che parte sta?

Sta dalla parte dei rigassificatori come soluzione di transizione in questa emergenza. Con compensazioni per i territori coinvolti. Non è un caso che si facciano in regioni, l'Emilia Romagna e la Toscana, ben governate da noi. Piuttosto, giro la domanda a Giorgia Meloni: il sindaco di Piombino, di FDI, è contrario. Lei da che parte sta?

La situazione che va configurandosi, tra choc energetico e speculazione, a suo avviso richiederebbe un nuovo sforzo di unità nazionale, a prescindere da chi mette la testa avanti il 25 settembre?

Questa pessima legge elettorale ha una parte maggioritaria che rende impossibile il pari e patta. O vince la destra o vinciamo noi. Chi vagheggia il pareggio vive in una realtà parallela. E ha smarrito qualsiasi principio di realtà.

Draghi è troppo ottimista quando dice che qualsiasi governo ce la farà?

Draghi è stato giustamente molto istituzionale parlando di “qualunque governo”. La verità è che all’estero oggi aleggia un incubo. Tutti ricordano il baratro del 2011, con il governo Berlusconi - e Tremonti e Meloni ne erano ministri - costretto a dimettersi perché il Paese era sull'orlo della bancarotta. Dieci anni dopo l'Italia si è rialzata ed è risanata. Ma ecco che loro si ripresentano nella stessa formazione pronti per una nuova bancarotta. La preoccupazione evidentemente c’è tutta ed è legittima. I protagonisti sono gli stessi tre di allora, con dieci anni di più e nessuna lezione imparata dagli errori fatti.

Nel caso toccasse a lei governare, riuscirebbe a garantire soluzioni realistiche insieme ai suoi alleati della sinistra ecologista contraria agli impianti gas e, eventualmente, con M5s?

Noi possiamo ribaltare i pronostici e vincere. Dobbiamo convincere il 10% di indecisi. Con i Verdi già governiamo in Europa, dove ad esempio la stessa Ursula Von der Leyen porta avanti posizioni radicalmente diverse da quelle di Meloni e Salvini e molto più compatibili con quelle nostre e di Bonelli. È la destra italiana a non essere "europea". Vale a dire avanzata, civile, moderna. Sono, piuttosto, al fianco dell'Ungheria e di quel regime reazionario e negazionista, a partire dai temi ambientali. Lo stesso può dirsi sulle questioni sociali o su quelle migratorie e della cittadinanza. L’ostilità pregiudiziale di questa destra a una misura di civiltà come lo ius scholae, per fare un altro esempio, è dichiarata e intollerabile. Se vincessero loro si arresterebbe ogni possibilità di progresso. Di nuovo o di qua o di là: da una parte, discriminazioni e politiche reazionarie; dall'altra, integrazione, inclusione e politiche progressiste. È qui la scelta.

Riavvolgiamo il nastro e torniamo alle liste: polemiche, rimostranze, territori che si sentono sottorappresentati, anche alcuni addii al Pd. Cosa risponde a chi dice che il suo partito ha ridotto l'apporto del cattolicesimo democratico e dei liberali riformisti? Non crede che ciò avvantaggi il Terzo polo?

Noi siamo un partito vero. Ne sono orgoglioso. Siamo gli unici che hanno deciso le liste in trasparenza e con metodo collegiale. Con il voto di una Direzione Nazionale di 200 persone espressione di tutti i territori e di tutte le anime del partito. Gli altri hanno delegato tutto a scelte private, arbitrarie, del leader rispettivo. Per quanto mi riguarda, non ho imposto alcun nome "mio", nessun cooptato per fidelizzazione come invece accadde nel Pd del 2018. Quanto al cattolicesimo democratico, io stesso, che guido il partito, vengo da quella storia nobile e ne sono onorato. Semmai, sono altre tradizioni politiche e culturali a potersi sentire meno rappresentate. Ma mi sono impegnato a garantire il pluralismo interno e lo sto facendo.

Anche sui contenuti la sensazione è che il Pd sia sbilanciato sui "diritti individuali" rispetto alla questione sociale. Sulla "protezione" i dem possono essere scavalcati a sinistra da Conte e, per certi versi, anche dalla destra?

Non ci si inventa progressisti. Noi, anche grazie a uno straordinario processo di democrazia partecipativa dal basso che con le Agorà democratiche ha coinvolto 100 mila persone in 10 mesi, ci presentiamo con un programma a tre pilastri: lavoro e diritti sociali, diritti civili, ambiente. Sono complementari, non alternativi. E l'ispirazione è anche in quella ecologia integrale - sostenibilità sociale e ambientale insieme - di cui parla Papa Francesco. Penso al salario minimo, alla lotta alla precarietà del lavoro, al no ai finti stage, alla riduzione delle tasse sul lavoro per i ceti medi e bassi, al grande piano di edilizia popolare e rigenerazione urbana per le periferie. Accanto a questo un welfare moderno basato sul potenziamento dell’assegno unico, con revisione ISEE, sulla valorizzazione del terzo settore e sulla riforma della non autosufficienza. Giustizia sociale è questo: protezione dei più vulnerabili, delle persone sole e fragili. Soprattutto è scelte strutturali, non spot o bandierine.

Lei ha scelto, almeno così pare, di polarizzare lo scontro con Giorgia Meloni. Si sente l'unico antagonista delle destre e ritiene indispensabile essere il primo partito?

La polarizzazione è nei fatti. Più di un terzo dei collegi sono uninominali. Tradotto: è eletto solo chi arriva primo. Per arrivare primi in un collegio bisogna prendere almeno il 30/40% dei voti e può essere primo o il nostro candidato o quello della destra. Chi sceglie altre liste avvantaggia oggettivamente Giorgia Meloni. È bene chiarirlo una volta per tutte.

Sul presidenzialismo e sulle posizioni di politica estera non nette verso Putin avete già alzato un muro verso il centrodestra. Tuttavia le chiedo: a partire da questa legge elettorale liberticida, c'è una agenda di riforme istituzionali condivise che proponete? E non ritenete che dopo sei mesi di conflitto in Ucraina vadano intensificati gli sforzi negoziali anche al fine di proteggere l'economia nazionale?

Noi difendiamo la Costituzione. A destra non fanno mistero di volerla stravolgere. Il ruolo di terzietà e garanzia del capo dello Stato è una delle intuizioni più lungimiranti e assennate dei Padri costituenti, sulla cui difesa saremo inflessibili. Come pure lo siamo stati e continueremo a esserlo sul posizionamento europeo e atlantico dell'Italia. Quando diciamo "o di qua o di là" fotografiamo la realtà. Il tentativo sfacciato di inferenza del Cremlino nella vita politica europea è un fatto. La penetrazione aggressiva della propaganda organizzata per anni da Mosca è un fatto. Le minacce dei diplomatici russi alla libera stampa italiana sono un fatto. Nonostante tutto questo, Salvini non ha mai stralciato il patto con Russia Unita. Nonostante tutto questo Berlusconi resta l'amico di Putin per definizione. E ciò mentre in Ucraina continuano morti, devastazioni, dolore e sofferenze indicibili. Noi vogliamo la pace e sosteniamo con ogni strumento tutti gli sforzi di pace della diplomazia europea, dell’Onu e degli organismi multilaterali. Però vogliamo la pace, non la resa di chi è stato aggredito da una nazione nemica della libertà, della democrazia e dei diritti umani.

A ragion veduta, considerando l'intesa raggiunta dal centrodestra pur partendo da forti divergenze, era davvero così impossibile tessere un fronte da Calenda e Conte? O almeno compattare in un'alleanza organica chi è rimasto con il premier sino all'ultimo secondo?

A dirla tutta la critica più feroce che mi è rivolta è proprio aver spinto troppo per allargare. Non me ne pento. Le responsabilità di chi ha tradito accordi o, come nel caso di Conte, ha provocato con Berlusconi e Salvini la caduta del governo in uno dei tornanti più delicati della storia repubblicana ed europea sono lampanti e sotto gli occhi di tutti. La verità l’hanno vista gli italiani.

Infine, segretario: il Pd è saldo o dopo il voto rischia l'ennesima resa dei conti?

Grazie soprattutto alla compattezza interna il Pd ha vinto due difficilissime tornate amministrative e superato lo scoglio Quirinale. Quando 18 mesi fa ho lasciato Parigi per guidare il Pd il partito era attraversato da lacerazioni e lotta tra correnti. Un avvitamento pericolosamente prossimo all'implosione. Il Pd oggi è unito ed è l’unica vera alternativa a Meloni e alle destre. Da quando faccio politica al centrosinistra una cosa chiedono prima di tutto gli elettori: unità. Vinciamo se e soltanto se li ascoltiamo.
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