martedì 16 giugno 2015
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Come ai tempi della Grande Guerra? Peggio. «Le conseguenze della denatalità sono più forti oggi rispetto al 1915-18 – osserva Alessandro Rosina, ordinario di Demografia all’Università Cattolica di Milano –. Dopo le grandi epidemie e i conflitti mondiali, infatti, si registrava almeno una reazione popolare forte, in termini di ricostruzione e di speranza verso il futuro. Gli ultimi dati Istat invece confermano che è in atto un ridimensionamento continuo e strutturale e che quella capacità di reazione, purtroppo, non c’è più».Eppure, nel decennio 1995-2005, segnali di ripresa delle nascite c’erano stati. Perché non abbiamo saputo sfruttarli?Perché la crisi economica ha interrotto tutto, anche se il numero desiderato di figli non è mai sceso sotto le due unità. Se fosse per i nostri giovani, come ci dicono gli studi dell’Istituto Toniolo, avremmo anzi un numero superiore di bambini per coppia. Il punto è che, nella fase in cui si manifestava una leggera crescita dei nati, sono mancate le politiche giuste per rendere il recupero più consistente e strutturale. E adesso le difficoltà sono diventate croniche e il dato sull’Italia come Paese a bassa fecondità è da considerarsi ormai come persistente.Quali effetti sociali sta producendo la denatalità?Senza politiche che aiutino i nostri giovani a realizzare i loro obiettivi di vita, aumentano le difficoltà anche a formare una famiglia e si abbassano le aspettative, a tutti i livelli. Stiamo assistendo all’erosione continua di fiducia da parte delle nuove generazioni: si parte con attese elevate, poi il confronto con le difficoltà legate al percorso della vita adulta blocca tutto. Il problema è che, senza più figli, si pregiudica per il Paese anche la possibilità di avere una crescita sostenibile. Se chi deve scommettere sul futuro viene emarginato o si autoemargina, l’Italia finisce per avvitarsi su se stessa. Con l’attuale squilibrio tra anziani in pensione e under 40 senza il posto, il sistema non potrà reggere a lungo.Perché il contributo alle nascite che arriva dagli immigrati, per quanto importante, non basta più per garantire un saldo positivo?Perché, dopo una fase iniziale molto promettente, gli stranieri sono diventati come noi. Se possibile, oggi, per loro trovare un impiego e comprare casa è ancor più difficile rispetto a una coppia italiana. Si fanno gli stessi calcoli, mentre in Paesi europei come la Francia e la Svezia, dove i sistemi di welfare attivo funzionano, la prospettiva è opposta.E cosa succede?Innanzitutto, si riduce il gap tra i figli desiderati e i figli nati. Poi c’è una cultura di sostegno alle famiglie che dura nel tempo e che nessuno si sogna di mettere in discussione. Al contrario, l’Italia resta uno Stato in cui si guarda ai nuovi nati più come a un costo privato che a un bene collettivo. Senza dimenticare che, per chi va oltre il secondo figlio, il rischio povertà cresce. Giocare sulla difensiva, però, non serve. La situazione è drammatica ed è sotto gli occhi di tutti.
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