venerdì 27 marzo 2020
Dall’Africa al Sudamerica, le storie dei 16 missionari saveriani morti per via del contagio a Parma Il superiore: hanno attraversato guerre e pandemie, ma nessuno di loro si sentiva davvero a riposo
padre Gennaro Caglioni, insieme ad alcuni aspiranti seminaristi

padre Gennaro Caglioni, insieme ad alcuni aspiranti seminaristi - .

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Hanno preso il largo fidandosi della parola udita distintamente nel cuore quand’erano giovani, e che di chiamata in chiamata li ha condotti a portare il Vangelo fino ai confini della terra e dell’umanità. Hanno guardato in faccia epidemie devastanti in Paesi allo stremo, guerre crudeli e incomprensibili, ingiustizie intollerabili, e mai han- no lasciato solo l’uomo povero, sofferente, dimenticato da tutto ma non da loro. La morte l’hanno incontrata innumerevoli volte, sfidata con la pace di sapersi al servizio del Signore, elusa, contraddetta, battuta portando salute dove c’era morìa senza scampo. Ma ora un virus subdolo li ha colti alle spalle proprio nella tranquilla e benestante Parma – tra le città più provate dall’epidemia –, nel posto dov’erano piu al sicuro, la Casa madre della Congregazione dei missionari Saveriani nata dalla fede lungimirante e coraggiosa di Giulio Maria Conforti nel 1895, e dove molti si erano ritirati, carichi ormai d’anni e di bene fatto spuntare tra inimmaginabili deserti umani. Tredici di loro sono morti in pochi giorni, 11 nella sede centrale dell’istituto e 2 in ospedale, ma altri ancora se ne possono aggiungere in una contabilità difficile per la fatica di discernere tra le reali cause di tanti decessi così ravvicinati.

padre Zoni con un confratello e i ragazzi africani

padre Zoni con un confratello e i ragazzi africani - .

Finora sono 16 le vittime. Alcune piegate in un letto dell’infermeria della Casa, dove già erano curate per i malanni dell’età e del tanto girovagare; ad altri missionari l’imboscata del Covid è arrivata quando ancora erano in servizio pastorale presso il santuario animato dalla Congregazione e frequentato da tanti parmigiani, autoctoni e d’importazione grazie al servizio pastorale e liturgico poliglotta assicurato dai padri. A chi ha visto morire di ebola donne e bambini i sintomi del virus assassino devono essere parsi poca cosa, una bronchite di stagione, ben altro avevano visto. «Si aggiunge il fatto che vista l’emergenza sanitaria in città, e avendo noi un servizio di assistenza interna con un nostro confratello medico, abbiamo pensato di non aggravare il carico di lavoro dell’ospedale credendo di cavarcela da soli. Ma con le nostre sole forze non ce l’abbiamo fatta».


Hanno visto morire di ebola tanti bambini, hanno servito per decenni tante comunità cui sono stati assegnati: nella loro parabola, un sacrificio che non è stato vano




E’ consapevole della situazione grave eppure molto sereno padre Rosario Giannattasio, superiore della Provincia italiana dei missionari Saveriani. Salernitano, 69 anni, giramondo anche lui prima di tornare a Parma, è commosso dall’esempio dei suoi confratelli morti che «anche se ormai anziani e provati si sentivano ancora in missione, grazie ai loro contatti con le terre dov’erano rimasti in qualche caso anche per decenni, o con i tanti che frequentano le nostre strutture qui in città. Sono stati tutti fino alla fine, pur a distanza, insieme alla gente, si sono sentiti parte dei popoli che hanno servito. Nessuno tra chi ci ha lasciati poteva dirsi missionario a riposo. Come superiore ho dovuto tenerli persino a freno quando abbiamo chiuso il santuario, ai primi di marzo, perché avrebbero voluto continuare a evangelizzare », come un bisogno che nulla può estinguere.

padre Pierino Zoni, mentre abbraccia una donna africana.

padre Pierino Zoni, mentre abbraccia una donna africana. - .

La teoria delle morti è iniziata il 29 febbraio, ancora incompresa nelle sue reali cause (e quasi sempre ancora senza possibilità di conferma dopo il decesso), con padre Pierino Zoni, bresciano, 85 anni, testimone della guerra civile in Burundi. Lui, come altri di questa rassegna di navigatori del Vangelo in avamposti pericolosi o complicati della Terra, era già affetto da altre patologie, e dunque si è pensato a una delle molte possibili cause ultime – la febbre, una polmonite – che accelera il volgere della malattia. Il 7 marzo era toccato poi a padre Corrado Stradiotto, 86enne con trascorsi in Indonesia, che nella Casa generalizia accoglieva in tutta umiltà i visitatori in portineria pur dopo aver ricoperto incarichi di responsabilità nella Congregazione, come la rappresentanza legale.

Dall’11 marzo i decessi hanno assunto cadenza pressoché quotidiana: padre Enrico Di Nicolò, 81 anni, padre Vittorio Ferrari, 88, brianzolo, una vita in Brasile, padre Giuseppe Rizzi, 77enne di origini lariane, a lungo nel cuore di tenebra tra Congo e Rwanda. E poi quattro “ fratelli”: l’88enne sardo Guglielmo Saderi, anch’egli per anni in Congo, Pilade Giuseppe Rossini, 84 anni, bresciano, più di trent’anni in Sierra Leone devastata da guerre ed epidemie, Giuseppe Scintu, 85enne, che si è speso in Congo, e il 90enne Luigi Masseroni, “specializzato” in Brasile.

Dal 21 marzo una nuova accelerazione dei decessi: il virus si è portato via il tarantino padre Stefano Coronese, 88 anni, che ha servito in Indonesia, padre Gennaro Caglioni, bergamasco 73enne, per 14 anni nell’avamposto saveriano in Sierra Leone, e padre Piergiorgio Bettati, 84 anni, reggiano, un decennio in Congo. Gli ultimi due lutti della martoriata comunità missionaria nella giornata di ieri: fratel Lucio Gregato, trevigiano, 79 anni, che ha messo a disposizione del Signore la sua perizia di muratore, e padre Angelo Costalonga, 89 anni, che è stato anche grande fotografo e pittore. Ciascuna di queste vite spente dal Covid (anche se un margine di dubbio resta in qualche caso) è una vicenda umana e cristiana meritevole, come per tutti i missionari, di una biografia a parte.

Due storie, tra tutte, riassumono lo spirito intrepido di questa famiglia di seminatori del Vangelo: padre Nicola Masi, 92 anni, laziale di Priverno, un esploratore per la causa della fede e della dignità umana, passato dal Bangladesh al Brasile, all’Africa, fino ad approdare a Belem, 18 anni tra le palafitte dell’Amazzonia, morto il 12 marzo; e padre Piermario Tassi, marchigiano, morto a 90 anni il 15 marzo, per un trentennio in Congo, condividendone tutto l’innominabile calvario. «Una decimazione», non esita a definirla padre Giannattasio, costretto a piangere – a conti fatti, e con alcuni religiosi ancora in situazioni critiche – ben 16 confratelli in Cielo in meno di un mese. Con una consolazione: «Mano a mano che qualcuno moriva, vedevo gli altri non preoccupati com’era naturale, ma forti e sereni per l’accettazione totale e definitiva di una vita alla quale si sono sentiti chiamati all’inizio come nell’ultima ora. Si sono spesi sino all’ultimo, noi tutti ci siamo impegnati a fondo per salvare loro la vita. Ma li ho visti accogliere il passaggio nell’eternità come la chiamata a un ultimo viaggio di quel Padre che mai li ha lasciati soli».

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