venerdì 17 luglio 2020
La filosofa: credono che la bontà delle relazioni conti più delle forme istituzionali. Sono d’accordo con loro
Michela Marzano è docente di filosofia morale a Parigi

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Michela Marzano, docente di filosofia morale all’Università René Descartes di Parigi, scrittrice e opinionista, dice subito di capire i giovani riluttanti di fronte all’ipotesi di far famiglia. Condivide il laico allarme del Rapporto Cisf sull’evaporazione della famiglia, ma tiene a sottolineare che dal suo punto di vista le buone relazioni sono più importanti delle forme istituzionali.

Il 35% dei giovani non intendono sposarsi, il 24% non desidera avere figli. Perché c’è stato questo allontanamento dai modelli generativi che vengono identificati con la tradizione?
Credo che siano due questioni collegate ma leggermente diverse. Il tema dei figli è legato a un’insicurezza sul futuro legata a tutte le difficoltà in cui siamo immersi. A partire da insicurezze economiche molto concrete del tipo 'come arrivare alla fine del mese?'. E se c’è insicurezza sul futuro, direi sul concetto stesso di futuro, questa insicurezza si riverbera anche sull’ipotesi di mettere al mondo dei figli. Cosa trasmettiamo loro? La stessa insicurezza che c’è in noi?

Anche il matrimonio finisce inghiottito da questa sfiducia di fondo?
In parte sì. Se il sentimento dominante è la sfiducia, il pessimismo verso il futuro, perché sposarsi? Meglio soluzioni più transitorie. E poi sui giovani che avrebbero l’età per sposarsi, pesano le esperienze negative vissute da figli. Non parlo solo dei figli di separati e divorziati, comunque centinaia di migliaia, ma anche di quelli che sono stati testimoni di relazioni difficili e tormentate, con tensioni gravi e spesso violente. E allora, se pensi che in una coppia tanto le cose andranno male perché ne hai esperienza diretta, se le paure che hai vissuto da figlio tornano nel momento in cui prende avvio una relazione, difficile che si decida di andare avanti ugualmente. Purtroppo tanti ragazzi nascono con l’idea sbagliata che l’amore non possa essere per sempre.

Lei ha questa convinzione del 'per sempre'?
Sono profondamente convinta che l’amore quando è amore autentico e non semplice passione, non finisca mai, neppure dopo la morte. L’amore verso i propri genitori è così. Non smettiamo di amarli quando non ci sono più. Anche l’amore di coppia dovrebbe essere allo stesso modo. Invece è sempre più difficile.

Perché questa sfiducia verso l’amore?
Credo che ci siano tanti fattori, compresa la tendenza a contrattualizzare tutto. Il terreno della provvisorietà è stato preparato dalla diffusione dei contratti di matrimonio. Se devo premunirmi con un contratto, ancora prima di iniziare, perché penso che le cose possano finire, allora mino alle radice tutto il progetto. Purtroppo in questa logica si comprende l’indifferenza crescente dei giovani verso tutte le forme che pretendono di istituzionalizzare l’amore.

Nel Rapporto Cisf quasi 6 giovani su dieci si dicono 'indifferenti' rispetto alle varie tipologie familiari. Per loro, registra la ricerca, conta la qualità delle relazioni non la forma. Ma così non vengono meno quei concetti di stabilità e di responsabilità che caratterizzano la famiglia?
Dipende. In questo caso le risposte sono legate alla realtà delle nuove famiglie. Evidentemente si dice che la maggior parte dei giovani, sulla base delle proprie esperienze, ritiene per esempio che la coppia formata dai propri genitori non abbia elementi per dirsi più stabile e più responsabile rispetto alla coppia di persone omosessuali che vivono insieme da tanto tempo. La domanda è: tra loro non ci può essere lo stesso senso di responsabilità, spirito di sacrificio, dedizione, fedeltà, reciprocità che legano due persone eterosessuali? Sto dalla parte dei giovani. Anch’io penso che questi valori non siano legati necessariamente alla forma della relazione, ma alla sostanza.

Ma quando noi parliamo di coppie eterosessuali unite in matrimonio facciamo riferimento a una realtà che si intreccia alla storia stessa della civiltà. Conosciamo da sempre il ruolo sociale del matrimonio. Pur senza entrare nelle dinamiche personali, è difficile mettere questo modello familiare sullo stesso piano delle coppie omosessuali il cui ruolo sociale è tutto da sperimentare. Non fosse altro perché sono esperienze recenti.
A livello sociale noi auspichiamo la stabilità delle famiglie. Ma le famiglie sono stabili perché le persone sono stabili, cioè mature e affidabili. Quando mancano queste caratteristiche si apre la strada alla disfunzionalità, sia nelle famiglie tradizionali sia in quelle arcobaleno. Alla base di tutto ci dev’essere il rispetto reciproco. Quando un padre proietta su un figlio un determinato ideale e pretende ad ogni costo che il figlio lo faccia proprio, non sta rispettando quel figlio. Quando una madre butta fuori di casa una figlia perché omosessuale, non la sta rispettando. Ma ripeto, conta la qualità delle relazioni, il bene che producono, non i modelli a cui si rifanno.

Eppure il Rapporto individua uno stretto legame tra la disgregazione delle famiglie e il degrado delle relazioni umane nella società e nella politica. Difficile dire che la stabilità della famiglia non si traduca in bene comune.

Sì, ma non credo ci sia un rapporto di causa effetto, anche se è vero che i due aspetti vanno in parallelo. Sullo sfondo c’è un grosso problema legato all’assenza di rispetto dell’altro, di considerazione per il valore delle persone. Sono cose diverse. Il rispetto ci è dovuto, la stima si merita. Purtroppo il rispetto manca sempre più spesso, a livello familiare, ma anche nella scuola, nella società. Nessuno ascolta più l’altro. Questo è il primo valore da recuperare.

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