martedì 24 novembre 2009
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Non è solo un’ipotesi quella che i mafiosi tentino di reimpossessarsi dei propri beni attraverso prestanome. Molte inchieste giudiziarie hanno scoperto trucchi più o meno andati in porto, per quanto riguarda beni aziendali confiscati, la cui vendita è già autorizzata dalla Rognoni-La Torre, soprattutto per tutelare l’occupazione.Il boss di Strongoli e la sua impresa edileIl 6 aprile 2004 scatta l’operazione Petelia, dal nome antico di Strongoli, centro del Crotonese. Tra le accuse al boss Salvatore Giglio proprio quella relativa ad un’impresa edile, «già nella sua disponibilità, poi sequestrata e confiscata» e che «sarebbe ritornata tramite l’acquisizione dal Demanio da parte di persone incensurate, di nuovo sotto il suo controllo.A Caltanissetta soldi di una grande impresa per riacquistare l’impiantoIl 28 luglio 2006 la Dda di Caltanissetta arresta tre persone, tra le quali due impiegati e ex impiegati della Calcestruzzi Spa. La grande impresa nazionale è indagata per associazione mafiosa e falso in bilancio. L’accusa è di aver messo a disposizione somme di denaro a affiliati di Cosa nostra per permettere di rientrare in possesso di imprese confiscate nel settore delle cave e del calcestruzzo.A Roccella Jonica due società per riprendersi l’azienda confiscata nel 1997Avevano costituito due società al solo scopo di rientrare in possesso dell’impresa "Leuzzi Cosimo", operante nel settore degli inerti, confiscata nel 1997 alla cosca Ruga-Metastasio, una delle più potenti della Locride. E c’erano riusciti, ottenendo prima la locazione nel 2001 e poi trasferendo il contratto ad un’altra società, creata da Antonio Leuzzi, figlio del mafioso a cui era stata portata via. Tutto viene scoperto dai carabinieri di Roccella Jonica e dalla Dda di Reggio Calabria e bloccato il 13 febbraio 2007.Stavano riacquistando l’impresa svuotandola con i crediti di un’altra societàIl 10 marzo del 2008 la Guardia di Finanza di Catania, coordinata dalla procura etnea, sequestra un consorzio di società per un valore di 30 milioni di euro. Secondo l’inchiesta il tentativo della famiglia Riela era quello di riappropriarsi dell’azienda di trasporti che era stata confiscata nel 1999 perché ritenuta organica al clan Santapaola. Il consorzio, secondo le Fiamme Gialle, era diventato il maggior creditore del loro vecchio gruppo che la famiglia Riela voleva svuotare per poterlo comprare facilmente al momento della vendita da parte dello Stato.Cinque comuni sciolti per malagestione dei beni confiscati, tornati in mano ai bossSono ben cinque i comuni sciolti, negli ultimi cinque anni, perché le amministrazioni comunali avevano di fatto riconsegnato i beni confiscati, loro assegnati, ai mafiosi ai quali erano stati portati via. Si tratta di Quindici, nell’Avellinese (casa del boss in carcere riaffittata alla moglie), Canicattì, nell’Agrigentino (terreni assegnati ad una falsa cooperativa, di fatto in mano al mafioso), Nicotera (Vibo Valentia), Siculiana, nell’Agrigentino (uno dei mafiosi lavorava proprio nell’ufficio comunale incaricato di gestire i beni confiscati) e Roccamena nel Palermitano.
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