martedì 3 settembre 2019
«L’aumento delle denunce è un dato positivo, ma occorre la competenza dei procuratori per capire chi ha davvero priorità»
«Grazie al "Codice rosso" avremo meno femminicidi»
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La prima a lanciare l’allarme è stata proprio la Procura di Milano. A venti giorni dall’entrata in vigore del cosiddetto “Codice rosso”, la nuova legge a tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, gli uffici dei pm sono stati «sommersi – stando a quanto riferito da fonti giudiziarie – da una marea» di segnalazioni di presunti abusi, violenze o atti persecutori, giorno dopo giorno: 40 quelle che arriverebbero in media ogni giorno sui tavoli del Palazzo di Giustizia. E il fenomeno coinvolge anche le altre città: boom di segnalazioni nella Capitale (20/23 le notizie di reato quotidiane), a Napoli (con picchi di 30 al giorno), persino a Piacenza (5 le denunce nell’ultima settimana). Tra i punti principali della nuova legge, infatti, oltre all’aumento delle pene, c’è l’obbligo per la polizia giudiziaria di comunicare al magistrato (il pm di turno) le notizie di reato di maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate avvenute in famiglia o tra conviventi. E le vittime, secondo le nuove norme, devono essere sentite dal pm entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato. Esemplificativo il caso avvenuto nella “tranquilla” Chiavari, patria di anziani e rifugio dei pensionati milanesi in fuga dalla città: gli agenti del Commissariato giovedì hanno eseguito la misura dell’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento di un uomo ultrasettantenne accusato di avere maltrattato la moglie ottantenne. La ingiuriava e minacciava quotidianamente, chiudendola in casa e impedendole ogni comunicazione con l’esterno. A Ferragosto l’aveva picchiata brutalmente e lei era finita in ospedale. I tempi celeri dell’intervento l’hanno messa in salvo.

Lo aveva detto – tra le poche voci fuori dal coro – lo scorso novembre, mentre sugli annunci scenografici di un “Codice rosso” per le donne vittime di violenza, il ministro dell’Interno uscente Matteo Salvini costruiva il suo consenso: «Tutto sommato questa proposta potrebbe funzionare ». E così Fabio Roia, presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano, oggi legge l’impennata di denunce che stanno intasando i tribunali di mezza Italia con un filo di soddisfazione: «Non certo per la mia previsione, ma perché finalmente qualcosa si muove». Trent’anni trascorsi al “servizio” delle donne vittime di abusi, il magistrato è impegnato in prima linea sul tema delle violenze e sulle norme per contrastarle, tanto che per primo ha applicato il codice antimafia in un processo a carico di uno stalker (una misura poi ufficializzata proprio nella nuova legge).

Che cosa sta succedendo?
Assistiamo senza dubbio a un fenomeno positivo, anche se in questo momento credo sia subentrata l’ansia da parte delle forze dell’ordine e delle procure di non riuscire a evadere le troppe richieste che ricevono. Succede che le denunce si muovono, dal fondo dei cassetti o dai tavoli intasati dei commissariati e, finalmente, vengono prese immediatamente in considerazione e trasmesse ai pubblici ministeri.

Quello che è stato da subito conside- rato il vero punto di svolta della legge di cui stiamo parlando...
Sì. Secondo quanto disposto dalla legge del 2013 la priorità alle cause di violenza e stalking veniva data soltanto in fase processuale, cioè a conclusione delle indagini. Questo significava che dalla denuncia alla effettiva presa in carico del caso passava tempo, spesso troppo vista la mole di cause che oberano gli uffici delle procure. E questo tempo è quasi sempre stato deleterio per le vittime: le donne erano costrette a rimanere a lungo nelle case rifugio – dove le case rifugio esistono –, o addirittura ad essere esposte al rischio di nuove violenze. Il risultato si è tradotto negli anni in una vittimizzazione secondaria delle donne che facevano denuncia. La sensazione ora è che il meccanismo giudiziario stia subendo una scossa.


Il “Codice rosso” introduce una corsia veloce e preferenziale per le denunce e le indagini. Per i reati sessuali, prevede che «la comunicazione della notizia di reato è data immediatamente anche in forma orale». Il pm ha tre giorni per assumere informazioni, con eccezioni se la vittima è un minore. Anche la polizia deve agire «senza ritardo». Altra novità importante, è l’allungamento dei tempi per sporgere denuncia: la vittima ha 12 mesi, non più solo 6, dal momento della violenza.

Con che conseguenze?
La prima – e azzardo nuovamente una previsione – è dirompente. Se guardiamo al lungo termine, credo che assisteremo a una diminuzione dei femminicidi. Questo perché, come spiegavo poco fa, la riduzione del tempo d’attesa tra la denuncia di una violenza e la presa in carico del caso da parte del magistrato e degli operatori specializzati riduce anche il tempo in cui una violenza può degenerare, mettendo a rischio la vita della vittima. Il passato ci ha insegnato che troppi casi di femminicidio si sono consumati dentro questa stagnazione. C’è però anche un aspetto negativo.

Quale?
Che se tutto diventa urgente niente finisce per esserlo davvero.

Cosa intende?
Davanti a una pioggia di denunce, diventa più difficile capire cosa è più grave e cosa invece può aspettare, ovvero quale denuncia ha carattere prioritario. Qui entra in campo la competenza e la specializzazione di pubblici ministeri e operatori delle forze dell’ordine. La buona notizia è che nel nostro Paese ormai il 70% delle procure ha almeno un magistrato con competenze specifiche nel campo del contrasto alla violenza sulle donne. E che la legge sul “Codice rosso”, oltre alla svolta nei tempi di cui abbiamo parlato, ha reso obbligatoria la formazione per la polizia e le forze dell’ordine proprio in questo senso. Ora quindi serve “capitalizzare” il vantaggio che la riduzione dei tempi ci sta offrendo.

Molti magistrati sono critici rispetto all’obbligo, sempre previsto dalla nuova legge, di sentire entro tre giorni dalla denuncia la vittima.
Lo sono anche io. Spesso le denunce sono molto circostanziate: viene già indicata con precisione la violenza che si è subita, per quanto tempo, chi ne è responsabile. In questo caso un colloquio così tempestivo con chi ha dato la notizia del reato è del tutto inutile. La Procura di Milano, non a caso, nel decreto attuativo di applicazione della norma ha previsto che non sia necessario.

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