
È iniziata oggi pomeriggio la discussione generale sul disegno di legge relativo al fine vita da parte delle commissioni Giustizia e Sanità del Senato. Si parte dal testo proposto dalla maggioranza e adottato come testo base, che prevede una accessibilità generalizzata e preventiva alle cure palliative, l’esclusione delle strutture pubbliche e del Servizio sanitario nazionale da queste pratiche, su cui dovrà vigilare un Comitato nazionale composto da 7 esperti nominati con decreto della Presidenza del Consiglio. Tutti punti sui quali le opposizioni promettono battaglia e annunciano emendamenti che dovranno essere presentati la prossima settimana, termine fissato per martedì 8 luglio alle 11.
Ma, meno esplicite, divisioni e dubbi serpeggiano anche nella maggioranza, sul ruolo - da taluni ritenuti ineludibile - del Servizio sanitario nazionale, e sull’opportunità stessa di intervenire per legge a regolamentare il suicidio assistito, nonostante le sollecitazioni della Consulta e le fughe in avanti di alcune Regioni, Toscana in primis. « Il centrodestra si sta impegnando per arrivare a una legge sul fine vita, dopo sei anni dalla prima pronuncia della Corte Costituzionale e i fallimenti dei governi gialloverdi, giallorossi e tecnici», dice il capogruppo di Forza Italia in commissione Giustizia del Senato Pierantonio Zanettin, che è anche co-relatore. L’approdo in aula resta fissato per giovedì 17.
Una proposta considerata «inaccettabile» dal Pd. Un testo definito «addirittura peggiorativo dello status quo » dal capogruppo dem in commissione Giustizia Alfredo Bazoli. « È la privatizzazione della sofferenza, è la fuga dello Stato dal suo dovere di umanità», dice il capogruppo Francesco Boccia. «Abbiamo chiesto a La Russa, e a tutti i capigruppo, di farsi carico della delicatezza di questo tema». Quanto alla possibilità di intervenire con emendamenti, «in realtà così com'è, andrebbe riscritto completamente», taglia corto Boccia. Di «grande ipocrisia» parla invece Nicola Fratoianni, leader di Sinistra italiana e Avs. E Mariolina Castellone del M5s chiede: «Dove dovrebbero svolgersi questi percorsi? In strutture private a pagamento? E a opera di chi?».
«Si potrà ora almeno chiedere che le Regioni fermino le procedure fai-da-te para-eutanasiche. O – scrive in una nota Domenico Menorello, coordinatore del network “Ditelo sui tetti” - l’unità del Paese è un valore solo per contestare la legge sull’autonomia differenziata, ma quando si parla della cura e della vita va bene il far west?». Menorello giudica «condivisibile il divieto di dare la morte per mano pubblica» e il fatto di confermare come «illecita», ma anche «non meritevole di approvazione, un’azione, anche privata, che aiutasse un proprio simile a darsi la morte». C’è poi il tema della effettiva disponibilità per tutti delle cure palliative, nel quadro di un provvedimento che per Menorello è conseguenza di quello che definisce un « improprio reiterato intervento della Corte costituzionale».
Più drastica la posizione di Pro Vita & Famiglia. «Non bisogna retrocedere di un centimetro, ed è grave che a proporre il contrario sia stato il senatore di FdI Ignazio Zullo», afferma il presidente Toni Brandi, che considera «fondamentale per non spalancare la strada a una proposta di legge che è un gravissimo passo verso il baratro dell'eutanasia». Critico per opposte ragioni Beppino Englaro, padre di Eluana: «È chiaro che serve una legge», così come è chiaro che , «il Servizio sanitario deve avere un ruolo. A chi ci si deve rivolgere, sennò?». Mentre per Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe, «questa trasforma un diritto in un privilegio per pochi».